Addio a Franco Battiato, il meccanico divino Un maestro tra note pop e misticismo

In fondo è come se Franco Battiato se ne fosse andato poco alla volta, mettendoci anni, quasi per farci abituare alla sua assenza che ieri mattina all’alba è diventata definitiva nella quiete della casa di Milo, sulle pendici dell’Etna. Aveva 76 anni compiuti a fine marzo. Il dispiacere sincero che si avverte su ogni medium in queste ore, racconta non solo quanto l’epoca dei cantautori sia stata terreno insostituibile di crescita e condivisione collettiva, ma anche quanto di quello spazio di crescita Battiato abbia occupato, con l’aver reso la musica popolare altro da quel che s’era vissuto prima di lui.
Con lui, l’arte più amata dai giovani è salita sulle montagne russe. Coraggiosa fino all’audacia nella sperimentazione degli Anni Settanta, ai tempi di Fetus e Pollution, è diventata sempre più rigorosa nella simbiosi di suoni e testi alti ma di pronta presa. Battiato l’ha resa capace di contemperare visioni geografiche esotiche e misticismo, e dicotomie come «gli orinali messi sotto i letti per la notte» nella sua infanzia con «il film di Ejzenstejn sulla rivoluzione» dell’amatissima Prospettiva Nevski. E poi sono venute spiritualità e sensualità (la delicatissima L’animale), lo sdegno intorno alla politica di Povera Patria (ancora citatissima) ai tempi di «Mani Pulite» e la contemplazione delle meccaniche celesti.
I divertissement colti a pronta presa lo resero celebre. Con La Voce del Padrone, all’inizio degli Ottanta, si era fatto gioco di quel pop che lo ha poi riconosciuto come suo pilastro. Ma lui da quel momento fuggì, cercando sempre nuove strade. Il suo cantare seduto sul tappeto davanti all’orchestra spiazzava i seguaci delle canzoni, che lo dovevano intanto sempre più condividere con gli altri suoi interessi che si moltiplicavano.
L’opera (pensiamo a Genesi o a Gilgamesh), la pittura. Senza contare il breve prestito alla politica come assessore alla Cultura con Crocetta alla Regione Sicilia, nel 2012, finito in un amen per improvvide dichiarazioni dell’artista a Bruxelles su certe presenze femminili nel Parlamento italiano. Il cinema è stato l’ultima grande passione, a partire da Perduto Amor e Musikanten nei primi anni del secolo, e infine con quel film già tutto pronto su Haendel, Viaggio nel regno del ritorno, per il quale aveva inseguito – e lo diceva come un successo acquisito – William Defoe e Charlotte Rampling. Però il destino si era ripreso il proprio primato, riportandolo a casa.
Dentro tanto lavoro e studio quasi compulsivo, Franco Battiato era un personaggio semplice e simpatico, un fantastico commensale che ti poteva intrattenere per ore con i suoi aneddoti, un barzellettiere incallito. Ma anche un tipo diretto, che non le mandava a dire. Raccontava storie che mettevano in rilievo il suo carattere, come la contestazione ostinata al servizio militare, quella sua ribellione alle regole che gli costò giorni di carcere militare, prima di esser dispensato dal servizio per esaurimento nervoso. E se la rideva talora pensando a quella volta che nel pieno successo degli ’80 Dario Fo lo bloccò alla fine di un concerto per dirgli che non gli piacevano i suoi testi, e lui rispose: «E a me che c. me ne frega? », prima di girargli le spalle e andarsene.
Ma l’ultimo Battiato dalle grandi idee fu quello dei Novanta, in un percorso di rovesciamento che lo portò a disegnare uno stile sorprendente, di misticismo anche stilistico, che ebbe il suo vertice in L’Ombra della Luce, confessò che nello scriverla era stato preso da una folgorazione. Seguirono sullo stesso filone Un Oceano di Silenzio e altre due perle come E ti vengo a cercare e La cura, costruite su una dualità incerta di amori, terreno e spirituale. Fu quello il Battiato della maturità, anche se naturalmente non abbandonava nei generosi concerti i pezzi famosi che il pubblico voleva ascoltare.
Ma se guardiamo alla produzione discografica, l’ultimo album che ha voluto incidere è stato, nel 2014, Joe Patti’s Experimental Group, dove suonava pianoforte, tastiere e sintetizzatori, rifacendosi esplicitamente nel repertorio ai suoi primi 4 album sperimentali prima del successo. Una sorta di liberi tutti, al quale è gioioso pensare: e dimenticare così l’ultimo Torneremo ancora, sontuosa raccolta di hit con la Royal Philharmonic orchestra uscita nel 2019. La title track, inedita, composta con l’amico Juri Camisasca, ci restituisce una voce stanca e tremula di un artista troppo stanco per andare avanti. —
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