A Trieste un mistero di nome Winckelmann lungo duecento anni

Nella ricorrenza del duplice giubileo di nascita e morte nuovi studi sull’erudito brutalmente ucciso nel 1768
Di Maria Carolina Foi

di MARIA CAROLINA FOI

Johann Joachim Winckelmann, che nasce a Stendal il 15 dicembre 1717 e muore a Trieste l'8 giugno 1768, sarà presto festeggiato con un duplice giubileo. La Winckelmann-Gesellschaft, che promuove la ricerca internazionale sul grande studioso, già da tempo organizza e coordina le numerose iniziative in agenda fra il 2017 e il 2018. Gli anniversari possono talvolta risolversi in una ritualità melanconica che finisce, contro le proprie intenzioni, per consegnare definitivamente al passato l'opera e il suo autore. Ma è improbabile che in questo caso si corra un simile rischio. Le celebrazioni saranno infatti ispirate a un comune motivo conduttore: l'enorme, pervasiva influenza esercitata da Winckelmann nella cultura europea. Che cosa può dunque insegnare alla contemporaneità questa straordinaria personalità di studioso?

Si fa presto a ripercorrere per sommi capi una vita che si svolge secondo una linea ascendente, bruscamente spezzata da una morte violenta e scandalosa. Figlio di un modesto calzolaio, il dotatissimo giovane acquisisce presto un'eccezionale conoscenza delle fonti antiche (l'amatissimo Omero!) e inizia la carriera di precettore e insegnante, poi di bibliotecario. Dal 1754 è a Dresda: la cerchia dei suoi estimatori si allarga, la conversione al cattolicesimo gli spiana la strada per Roma. Il viaggio in Grecia, la patria sognata della sua anima, non si realizzerà mai. A parte brevi soggiorni a Firenze e Napoli, Winckelmann trascorre a Roma i suoi anni più felici e fecondi lavorando nella biblioteca del cardinale Albani. Nel 1764 pubblica il suo capolavoro, la Storia dell'arte nell'antichità. L'anno prima era stato nominato Prefetto delle Antichità romane, un titolo prestigioso che suggella la sua fama nelle élites colte e cosmopolite del tempo: già in vita Winckelmann è riconosciuto in tutta Europa come la somma e indiscussa autorità sul mondo greco e romano. Con lui - dall' archeologia alla storia e alla critica d'arte, dall'etruscologia alla numismatica - inizia lo studio moderno di quel mondo.

Nel 1755, poco prima di lasciare la Germania, Winckelmann aveva pubblicato un breve trattato, Pensieri sull'Imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Qui si leggono affermazioni fondamentali: "Il buon gusto, che va sempre più diffondendosi nel mondo, cominciò a formarsi sotto il cielo greco", oppure: "L'unica via per noi per divenire grandi, anzi, se possibile, inimitabili, è l'imitazione degli antichi", e la celebre formula sul primato dell'arte classica greca: "una nobile semplicità e serena grandezza". In Winckelmann, l'indefesso studio filologico, la minuziosa catalogazione delle fonti non resta un mero sapere positivo. L'erudizione sterminata si accende con la visione di una bellezza ideale, che non esclude slancio vitale e partecipazione sensuale. Le statue greche (ovvero le copie romane descritte dallo studioso) non sono da imitare in quanto tali, come in parte fraintenderà certo gusto neoclassico, sono da 'imitare' perché rappresentano l'esempio realizzato di un'umanità armoniosa, di un eq. uilibrio delle passioni illuminato da un ideale estetico ed etico. Il sapere antiquario si trasforma così in studio dell'Antico. E questa idea di Antico inteso a largo raggio diventerà a sua volta - ecco la lezione di Winckelmann - un termine di confronto ineludibile, il modello a cui riferirsi per definire e comprendere la condizione dei moderni. Da Lessing a Goethe e a Schiller, da Hölderlin a Hegel fino a Nietzsche, che saprà di nuovo e diversamente rivitalizzare per l'Occidente il mondo greco, riferirsi all'Antico diventa l'atto rivoluzionario per interrogare la modernità e i suoi abissi. Ma è soprattutto la morte di Winckelmann a parlare un linguaggio dagli accenti sorprendentemente contemporanei: la strana melanconia di un viaggio interrotto, la sosta sulla via del ritorno a Roma, un incontro dai contorni ambigui e mai chiariti concluso da un brutale assassinio, sul quale, come nel caso di Pier Paolo Pasolini, si innesteranno le più diverse teorie del complotto. Quel mare ellenico, increspato alla superficie, ma calmo nel profondo, tante volte evocato da Winckelmann nei suoi scritti si rapprende alla fine nel mare di Trieste, scrutato da una finestra sulla Piazza Grande, nell'attesa fatale di un viaggio che non si compirà.

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