A “State of the Net” focus sulla Rete
TRIESTE Si ripresenta a Trieste dopo un anno di assenza State of the Net, la conferenza che ambisce a fare il punto sullo stato di salute di Internet ed esplorare l’impatto della rete nella società. Lo farà a ingresso libero venerdì 28 e sabato 29 al Savoia Excelsior Palace con un tema ambizioso, e con un obiettivo finale ancor più audace. Se il fil rouge dei dibattiti sarà l’informazione, o meglio, “I Fatti”, la sfida lanciata al pubblico è quella di «imparare a sentirsi a proprio agio con l’idea di non aver capito tutto». È propria questa la chiave, secondo uno degli organizzatori, per riuscire a confrontarsi con la complessità del reale senza cadere il rischio di rinchiudersi in una stanza degli echi popolata di verità di comodo.
«Nei giorni di Brexit, mi aveva colpito l’affermazione dell’ex segretario di Stato della Giustizia del Regno Unito, Michael Gove, secondo il quale le persone ne avevano “avuto abbastanza” degli esperti», racconta il goriziano Paolo Valdemarin, uno dei tre fondatori di State of the Net. Imprenditore e grande esperto di comunicazione digitale, risiede ora a Londra. «Il gruppo di persone a cui si riferiva era lo stesso a cui non piace Internet. O meglio, non piace la complessità della rete, in cui si può trovare qualsiasi cosa ma solo sapendola cercare. Una volta il mondo era fatto di un solo canale televisivo che enunciava i fatti, e c’è chi ha nostalgia di quel tempo in cui le cose erano più semplici. Si è creata una sorta di frattura fra chi abbraccia e segue la complessità, insieme alle sfide del mondo globalizzato, e un gruppo più invisibile di persone che complessità non la vuole. Questo gruppo vive su social network popolati da persone simili, in cui anche le cose più assurde trovano sponda».
Preso atto di questa dicotomia, Valdemarin - insieme agli altri due organizzatori, il giornalista di Pordenone Sergio Maistrello e il triestino Beniamino Pagliaro - ha pensato di porre al centro dei dibattiti gratuiti il tema dell’informazione. In lingua inglese, quella di alcuni degli ospiti di caratura internazionale, si parlerà del rapporto tra media e verità fattuali, di teorie del complotto, dinamiche del contagio sociale e della rete «intesa come parte funzionante e funzionale della società». Nel programma della conferenza trova spazio l’intelligenza artificiale: mentre le persone faticano a scendere a patti con la quantità di informazioni disponibili, le macchine possono fornire un supporto per migliorare l’analisi in tempo reale della realtà. L’anteprima della kermesse, nel pomeriggio di venerdì 28, sarà riservata allo stato dell’arte in Friuli Venezia Giulia insieme alla presidente Debora Serracchiani. Il Piccolo sarà media partner dell’evento con Newsweek.
Uno degli ospiti, il professor Walter Quattrociocchi, ha esplorato il tema dell’impossibilità di fare cambiare idea alle persone anche mettendole davanti ai fatti. Il caso di Donald Trump, che è arrivato al punto di sfidare Hillary Clinton alle prossime elezioni, è da manuale. «Nonostante l’America sia la patria del fact checking (la verifica puntuale di un’affermazione, ndr), non tutti leggono il New York Times», continua Valdemarin. «Esiste un fenomeno di risonanza per cui una comunicazione ben tarata, diretta ad un gruppo specifico di persone, tende ad eccitarle di modo da far loro ignorare tutto il resto». Anche i fatti, appunto. «Il messaggio che cerchiamo di dare è che ognuno deve sviluppare le competenze necessarie per crearsi la propria verità. Essa non viene più data dall’alto, ma la si acquisisce strato dopo strato andando a raccogliersi sempre più informazioni. Acquisendole in posti diversi, è possibile crearsi un’opinione meno certa rispetto all’affermazione singola, ma più sofisticata, educata e civile». In un periodo di staffetta generazionale, secondo Valdemarin, i nati ad inizio millennio sono più abituati alla parzialità dell’informazione, e quindi più scettici.
L’unica soluzione è fare come loro, «cercando punti di osservazione il più possibile diversi da quelli frequentati abitualmente. Seguendo per esempio sui social network persone con idee diverse dalla propria, e partendo dall’idea di base che quello che si legge non è vero». Una teoria del dubbio sistematico tesa a farci scattare un campanello di allarme ogni qual volta pensiamo di aver capito tutto di un argomento. «Chiunque inizi un’affermazione dicendo: “Questo è quello che ho capito, alla luce delle mie ricerche” avrà sicuramente compreso più di colui che parla per proclami assoluti». Nell’era dei fatti e del loro sistematico superamento, State of the Net proverà a indicare come non essere travolti dall’impetuoso flusso della realtà. O di quella ritenuta tale.
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