A spasso nei giardini di Trieste fra mammule e rose
TRIESTE Trieste è una città intimamente rivolta al mare, ma dal XVIII secolo iniziò a coltivare il piacere del giardino, tanto da apparire a Charles Nodier, già funzionario napoleonico, come “un canestro di fiori posato su uno scoglio”. La descrizione è contenuta nel suo romanzo ‘Giovanni Sbogar’ (1818). L’aspetto della città mutò completamente nel Settecento e poi in modo incisivo nell’Ottocento. Da borgo di salinari e pescatori si trasformò in una metropoli moderna. All’istituzione del porto franco nel 1719 seguì un’effervescente attività edilizia. Uomini delle diverse comunità etnico-religiose, giunti a Trieste richiamati dalle sue promesse di accoglienza e lavoro, cominciarono ad acquistare terreni e immobili per allestire residenze dotate di giardini dove la natura potesse meglio esprimersi all’individuo ritemprandolo dalle fatiche dei commerci. Si scelsero dimore esistenti. Se ne costruirono di nuove, a ridosso delle Rive e del centro, come ad esempio sul pendio del colle di San Vito.
Nella zona dei Santi Martiri c’è l’odierna villa Necker, costruita nella seconda metà del Settecento dal commerciante Antonio Strohlendorf. Il parco fu disegnato all’italiana – primo a Trieste - dall'ingegnere militare Vincenzo Struppi nel 1775. Durante la proprietà del ginevrino Alfonso Teodoro Carlo Francesco de Necker fu diretto dal botanico Giuseppe Ruchinger di Monaco, che guardò al grande giardino del palazzo di Schönbrunn a Vienna e alla sua composizione geometrica.
Il parco di Villa Necker mutò nel tempo, arricchito e interpretato dai vari proprietari che si succedettero: se la moglie di Girolamo Bonaparte, la principessa Caterina, inserì le pergole con vista su tutto il Golfo aggiungendo una cappella e un teatro, del ricchissimo inquilino che la precedette, il siriano Francesco Cassis Faraone, il ‘Creso arabo’, conservò giochi d’acqua e Orangerie, eliminando gli inserti di gusto asiatico come la parte orientale e le statue gigantesche.
Nei pressi di Villa Necker nel 1807 Pietro Sartorio realizzò un giardino in stile veneto a corredo dell’omonima villa, dotata di portale, scala monumentale, alcune statue e una Gloriette che veniva usata come padiglione per la musica. Successivamente il figlio Giovanni Guglielmo lo trasformò ispirandosi al giardino romantico all’inglese.
Non lontano da villa Necker, nella villa di Campo Marzio – oggi non più esistente - risiedette per un periodo la sorella di Girolamo Bonaparte, Elisa Baciocchi, che personalizzò un parco rigoglioso e complesso, all’inglese, dotato di scalinata monumentale che scendeva fino alla via Campo Marzio, celebre per aver ospitato serate favolose a cui partecipò anche il compositore Niccolò Paganini, suo intimo amico.
Sul Colle di Scorcola, nella parte merdionale verso il mare Enrico Trapp, negoziante di Borsa, costruì il suo giardino in stile classico – scrive Marina Parladori nel saggio contenuto nel catalogo ‘Neoclassico’ - strutturato in terrazze intervallate da spazi decorati con statue e fiori, e nella stessa epoca, nei primi anni del 1800, l’ambizioso Domenico Rossetti acquistò un terreno incolto, situato nell’ultima parte della via dell’Acquedotto, trasformandolo in un giardino di grande bellezza. Fu il primo ad avere, a Trieste, la foggia detta all’inglese, dove, tra le statue e le piante nuove e rare, si coltivavano con particolare cura molte varietà di garofani. Da questo il giardino trasse il nome di ‘Cariofileo’. Fino ad allora la varietà dei fiori coltivati era limitata alla rosa, alla viola mammula e a non molto altro. Appassionato dell’arte dei giardini, Rossetti espresse il suo pensiero anche in alcuni scritti di carattere botanico-filosofico, diffondendo l’inclinazione alla coltivazione dei fiori e alla creazione di giardini. Con la realizzazione di questi giardini – spiega Parladori - si diffuse il gusto per la coltivazione dei fiori e nuovi tipi di arbusti e di essenze arboree fecero la loro apparizione. Tra queste, il Liriodendro tulipifera, albero dell’America settentrionale con fiori grandi e odorosi. Introdotto in Europa nel 1732 dall’ammiraglio francese de La Galissonière, ornava i boschetti artificiali di villa Murat, nuova denominazione per la fastosa villa di Campo Marzio, passata di proprietà a Carolina Murat, ex regina di Napoli, sorella di Elisa Baciocchi.
Questi sono solo alcuni esempi di giardini, che ne ispirarono altri. Ad esempio quello di Villa Bazzoni, aperto al pubblico: la villa fu costruita sull’omonima via nel 1838 nella vasta proprietà di Chiarbola Inferiore che si estendeva fino al crinale del colle di San Vito. Il committente fu Gracco Bazzoni (1798-1871), commerciante lombardo, capostipite di una prestigiosa famiglia. Il figlio Riccardo divenne podestà di Trieste dal 1878 al 1890 e si racconta che il giorno della sua nomina fu trasportato dai cittadini fino in piazza Grande, attuale piazza Unità d’Italia, dove donò loro la rosa rossa che portava all’occhiello. Per il suo colore saturo fu poi denominata ‘Rosa Bazzoni’. La famiglia era molto legati alla Patria e alle simbologie classiche, richiamate in diversi elementi all’interno del parco, che custodisce ancora oggi il giardino segreto. Altri esempi sono le ville Ermione e Lehner, entrambe in via di Romagna. Queste ville presentano un tipo di giardino, detto all’italiana, all’interno del quale sono poste sculture e fontane a decoro. Pure villa Lazarovich in via Tigor possedeva un giardino all’italiana: lo si deduce – evidenzia Parladori - dalla lettura di un dipinto raffigurante il giardino antistante la villa e situato in una posizione panoramica. Qui soggiornò per circa un decennio (1850-1857) l’arciduca Massimiliano d’Asburgo il quale, nel 1856, avrebbe fondato un giardino ben più ampio e importante: il parco di Miramare.
A questa passione a inizio Ottocento si coniugò in città l’interesse per gli studi botanici da parte di proprietari esperti poi autori di rinomati giardini, dalla città al Carso. Esempio ne è Nicola Bottacin, fondatore della locale Società di orticoltura, coltivando oltre 500 specie di rose nella sua tenuta a San Giovanni. Un esempio presto imitato dal barone Pasquale Revoltella nella tenuta al Cacciatore. Questi interessi condussero all’intensificarsi degli studi naturalistici, ambito in cui spiccano gli scienziati Bartolomeo Biasoletto, fondatore dell’Orto botanico, e Muzio de Tommasini, al quale fu in seguito dedicato il Giardino pubblico. Inoltre, si formarono lavoratori specializzati in campo giardinistico che operarono in tutta la città. Durante l’occupazione francese, in accordo con l’uso della promenade, si diede impulso alla sistemazione di aree verdi pubbliche, come le piazze alberate e i passeggi – di Sant’Andrea e dell’Acquedotto fino al Farneto e al Boschetto – che avrebbero caratterizzato la Trieste del XIX secolo, divenendo i luoghi più amati dello svago cittadino.
Trieste aveva assunto una nuova fisionomia, la sua caratteristica personalità raccontata da viaggiatori e curatori di itinerari, con una ricca produzione di stampe e di guide destinate a divulgare il volto di Trieste. —
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