A scacchi una chance per il russo Kasparov di battere il computer dalla memoria corta
TRIESTE Anche per Kasparov adesso c’è speranza. In una partita a scacchi i nostri neuroni possono rivelarsi più svegli e veloci rispetto ai complessi algoritmi dell’Intelligenza Artificiale in fatto di memoria. Le connessioni nell’uomo sono più rapide. Questa, in sintesi, la conclusione di una, nuova ricerca della Sissa di Trieste, condotta in collaborazione con il Kavli Institute for Systems Neuroscience & Centre for Neural Computation di Trondheim. Studio che porta la firma di Francesca Schönsberg e del professor Alessandro Treves (responsabile della ricerca) della Sissa assieme a Yasser Roudi dell’Istituto norvegese.
Di fronte a questa scoperta, il campione russo Garry Kimovich Kasparov potrebbe chiedere la rivincita, ora che sa quale è il punto vulnerabile del supercomputer Deep Blue dell’IBm da dieci milioni di dollari che il 10 febbraio del 1996 gli diede scacco matto a Filadelfia. Sconfitta che irritò il fuoriclasse russo che perse contro una macchina che, malgrado le sue innegabili potenzialità, non può avere la creatività né l’intuito dell’uomo. Ora che si scopre che la strategia utilizzata dal nostro cervello per memorizzare è più efficace rispetto ai sistemi di Intelligenza Artificiale la partita potrebbe essere più aperta.
Che siano naturali o artificiali, i network neurali apprendono modificando finemente le connessioni tra i neuroni, rendendole più forti o più deboli a seconda della circostanza. In questo modo, alcuni neuroni diventano più attivi, altri meno, secondo uno specifico pattern di attività. Questo schema di attivazione dei neuroni è ciò che chiamiamo "una memoria". «Nella memorizzazione - spiega il professor Treves - la strategia usata dall'Intelligenza Artificiale si basa sull'uso di lunghi e complessi algoritmi che attraverso un processo iterativo modulano e ottimizzano le connessioni. Il nostro cervello agisce invece in modo molto più semplice: la forza di ogni connessione tra i neuroni dipende semplicemente da quanto spesso essi sono attivi simultaneamente. Più questo avviene più forte sarà la connessione tra di loro. Se paragonata agli algoritmi di Intelligenza Artificiale, questa strategia è stata a lungo ritenuta meno efficace perché permetterebbe di immagazzinare un numero minore di memorie». Questo risultato si basa su una importante semplificazione in cui i neuroni sono considerati come unità binarie: funzionerebbero insomma con due sole modalità, acceso o spento. Sarebbe proprio questo irrealistico assunto, dice la nuova ricerca, a far ritenere meno efficiente il nostro cervello rispetto ai sistemi artificiali. Secondo i ricercatori della Sissa, quando la strategia utilizzata dal cervello per modificare le connessioni viene combinata con modelli biologicamente più plausibili di risposta dei singoli neuroni, il sistema funziona come, o meglio, degli algoritmi del computer.
Com'è possibile? Paradossalmente, la risposta è nell'introduzione di errori, ossia nel recupero di memorie che non sono perfettamente identiche all'originale. Quando, nell'elaborazione di uno stimolo, una memoria è efficacemente recuperata, questa può essere identica all'input originale o solo correlata a esso. La strategia del cervello va in questa seconda direzione. In particolare, comporta il recupero di memorie che non sono esattamente uguali all'input originale. Gli errori introdotti corrispondono allo spegnimento dell'attività di quei neuroni che sono solo scarsamente attivi in ogni specifico pattern da memorizzare. Questi neuroni disattivati, infatti, non giocano un ruolo cruciale nel distinguere tra le differenti memorie conservate in uno specifico network. «Questa ricerca - osserva Treves - sottolinea come procedure di apprendimento biologicamente plausibili e auto-organizzate, sono più efficienti dei lenti algoritmi. —
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