A Pordenonelegge Zafón giura: «I miei libri non saranno mai film»

L’autore di bestseller ha inaugurato la rassegna presentando “Il labirinto degli spiriti” (Mondadori)
Inviato a PORDENONE. C’è sempre un piccolo drago ad accompagnare Carlos Ruiz Zafón. Un esserino alato, signore dei mondi fantastici, che dal risvolto della sua giacca sintetizza alla perfezione l’universo narrativo dello scrittore di Barcellona con casa in California. Non è sempre lo stesso, perché l’autore de “L’ombra del vento” ne possiede in quantità notevole. Visto che da anni si diverte a collezionarli.


Draghi e musica sono le due grandi passioni segrete di Zafón. Come ha confermato lui stesso nella giornata inaugurale, condita da una sobria parata di autorità e amministratori, della diciottesima edizione di Pordenonelegge.


Ospite d’onore della Festa del libro con gli autori, intervistato al Teatro Verdi da Edoardo Vigna, capo redattore dell’inserto “Sette” del “Corriere della Sera”, lo scrittore è venuto a parlare della sua tetralogia dedicata al Cimitero dei libri dimenticati, che si è conclusa con il romanzo “Il labirinto degli spiriti” pubblicato da Mondadori.


Di questi tempi, Zafón non poteva evitare una domanda sulla spinosa querelle che potrebbe tagliare il cordone ombelicale tra la Catalogna e la Spagna. Visto, oltretutto, che lui ha sempre dichiarato di considerare Barcellona come una grande madre. «Vivo da anni in California e non riesco ad appassionarmi alla questione del referendum sull’indipendenza con la stessa forza che avrei provato un tempo. Proprio per questo cerco di ragionare con freddezza: la cosa più importante è capire la reale volontà dei catalani. Non basta dire che in piazza è andato un milione di persone. Perché ci sono altri sei milioni che non hanno ancora espresso un pensiero chiaro. In ogni caso, la Spagna non può continuare a fare finta di niente». Per sedici anni Zafón ha continuato a scrivere storie sul Cimitero dei libri dimenticati. Partendo da “L’ombra del vento”, è riuscito a costruire un ciclopico edificio narrativo nel “Gioco dell’angelo”, nel “Prigioniero del cielo” e infine nel “Labirinto degli spiriti”.


E adesso? «Ho tre, quattro idee in testa. Una mi sembra buona, ma solo nei prossimi mesi deciderò cosa fare. Certo, non ci sarà più Barcellona al centro di tutto».


Normale immaginare che si sia fatto avanti qualche produttore per portare al cinema le sue storie. Visto che Zafón è lo scrittore spagnolo più letto dopo Miguel de Cervantes ed è tradotto in 40 lingue. «Infatti, è andata così. E io sono rimasto molto lusingato dall’offerta dei produttori. Ma proprio perché ho lavorato come sceneggiatore per il cinema e la tv dal 1996 al 2001, mi sono deciso a rifiutare». Prima di diventare uno scrittore di grande successo, Zafón ha coltivato a lungo il sogno di dedicarsi alla musica. «È rimasto un grande amore. E credo che dai miei libri lo si possa capire, perché funzionano come un’orchestra di parole. Dove tocca a me, il direttore, fare in modo che ci sia un’armonia, un equilibrio perfetto sulla pagina». Qualche anno fa è riuscito a incontrare il compositore che considera un mito: John Williams, autore della colonna sonora di “Star Wars”: «Mi ha regalato un suo spartito. L’ho appeso nel mio studio come una reliquia sacra».


E chi crede che la letteratura, o più in generale la cultura, siano solo un inutile zavorra per la società del futuro, dovrebbe fermarsi ad ascoltare il grande economista francese Jean Paul Fitoussi. A Pordenonelegge è arrivato insieme a Giovanni Lo Storto, direttore generale della Luiss, per presentare il libro “Erostudente: il desiderio di prendere il largo”. Un saggio, pubblicato da Rubbettino, che mette in chiaro alcuni concetti sul mondo universitario, sul futuro degli studi e del mercato. «In Italia abbiamo il 25 per cento di laureati – ha spiegato Lo Storto – contro il 40 della Francia e il 60 dei Paesi del Nord Europa. Ma la cosa più grave è che non investiamo sull’educazione dei ragazzi di domani. Ci ostiniamo a fornire loro consigli sul corso di studi da seguire senza avere il minimo indizio su quali saranno i lavori del futuro». Fitoussi ha puntato il dito contro la politica. «Dopo la Seconda guerra mondiale c’era un grande fermento attorno alla cultura, alle università. Oggi l’Italia non vuole più spendere».


Del resto, ha detto l’autore del “Teorema del lampione”, molti governi sono guidati da politici che non conoscono nemmeno la Storia: «Se Matteo Renzi l’avesse studiata, si sarebbe accorto che il più grande statista del’900, Charles De Gaulle, perse clamorosamente il referendum sul Senato di Francia».


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