A Cannes l’amore tormentato di “Cold War”

CANNES. Amour fou. Coppie tormentate, amori disperati, sullo sfondo dell’Europa della guerra fredda e nella Parigi degli anni Novanta funestata dall’Aids. A Cannes 71 è di scena l’amore: quello tra un uomo e una donna che si rincorrono fino alla fine dei loro giorni in “Cold War”, sesto lungometraggio firmato dal polacco Pawel Pawlikowski (premio Oscar nel 2013 per “Ida”), e quello omosessuale descritto da Christophe Honoré in “Sorry Angel” (“Plaire, aimer et courir vite” nel titolo originale), entrambi in corsa per la Palma d’Oro.
È liberamente ispirata alla storia d’amore dei suoi genitori, quella descritta da Pawlikowski, «che nella vita sono stati vicini e lontani - spiega il regista - hanno vissuto in Paesi diversi, sono stati sposati con altre persone, finendo per tornare ancora insieme». Un’intensa love-story dai tratti fassbinderiani, così come avrebbe potuto far parte della “factory” del genio del Nuovo Cinema Tedesco la stessa protagonista del film, Joanna Kulig, travolgente diva sullo schermo, acqua e sapone sulla Croisette, camicia, jeans e tacchi a spillo. Zula e Wiktor, cantante e ballerina lei, pianista lui, si incontrano nella Polonia nell’immediato dopoguerra. Si innamorano, si amano. Ma il destino interviene per dividerli. Loro però si cercheranno ancora e ancora, per tutta la vita. A Berlino, dove Wiktor pensa di fuggire all’altro blocco durante una tournée, convinto che Zula lo seguirà, in Jugoslavia, a Parigi. Come in “Ida” la fotografia brilla in un saturo bianco e nero, mentre la musica, che scandisce il racconto, dalla musica tradizionale polacca, al jazz, fino al pop anni ‘60 e ai 24.000 baci di Celentano, interviene come un vero e proprio personaggio a sé, tratto comune nelle esistenze dei due protagonisti. «Ho pensato a questa storia per molto tempo - dice il regista - e non saprei ambientarla al giorno d’oggi. L'amore è distratto da troppe immagini e rumori che ci circondano, mentre l'epoca della cortina di ferro mi sembrava il tempo giusto, perché allora l’amore doveva superare molti ostacoli. Il periodo era difficile e i sentimenti erano più profondi». Più vicino ai giorni nostri, invece, il contesto che fa da sfondo a “Sorry Angel”: la Parigi del 1993, dove il quarantenne Jacques vive appieno la vita, lavora come scrittore, frequenta amanti più o meno occasionali. L’incontro con Arthur, studente bretone con il quale, per sua ammissione, il regista si identifica, è di quelli che lasciano il segno. Ricco di citazioni e omaggi, da Truffaut a Koltés, sulle tombe dei quali Arthur si reca a rendere omaggio durante il suo primo viaggio a Parigi, “Ernesto” di Saba, “Querelle” del già citato Fassbinder, perfino Pier Vittorio Tondelli, del quale il personaggio principale, Jacques, mutua il cognome, «il film – afferma Honoré – è un ricordo degli anni della mia giovinezza, che ho cercato di osservare nelle sue espressioni “underground” cercando di evitare la nostalgia». Amore omosex anche nella sezione “Un Certain Regard”, dove una standing ovation ha salutato “Rafiki”, primo film lesbo di provenienza keniota, censurato in patria.
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