Zidarich, un atelier del vino e dei salumi scavato nella roccia
Prima ancora di aver degustato niente, la terrazza di Benjamin Zidarich, sospesa fra vigne, mare e cielo, già appaga i sensi. È una cornice ideale per assaporare i prodotti che escono dall'ormai famosa cantina - scavata nella roccia e inaugurata nel luglio 2009 dopo dieci anni di intenso lavoro - per arrivare sulle tavole non solo locali ma di mezzo mondo, da New York a Tokyo.
Ciò nonostante, il vignaiolo carsolino rimane fedele alle origini e continua ad aprire le porte di casa a chiunque lo desideri, almeno due volte l'anno. Nell'osmiza vende un uvaggio sfuso, prodotto da vigne più giovani, accompagnato da formaggi di piccoli produttori, verdure sott'olio, olive e salumi di propria produzione, come il classico prosciutto crudo, ma anche l'ombolo, la pancetta, la spalletta e le salsicce secche. Tutto viene tagliato sul momento, rigorosamente a mano, soprattutto dallo zio Romano, per offrire agli avventori i profumi e la freschezza del prodotto esattamente quando si sprigionano. Completano l'offerta gli ottimi dolci caserecci preparati da mamma Marica e zia Valeria.
D'inverno ci si può accomodare dentro, al tepore del fogolar, e anche da qui, grazie alle grandi vetrate, si gode di un'ottima vista che spazia dall'Istria a Grado, a Lignano, arrivano fino a Venezia.
Più che in una spartana osmiza, sembra di essere in una signora enoteca. Oltre al vino sfuso, si “rischia” infatti di trovare, disponibile al calice, anche il vino d'annata, se non addirittura una riserva, magari di dieci anni o più, scovata durante qualche blitz in cantina. Niente di strano, considerando che le specialità che hanno consolidato la fama di Zidarich non sono certo prodotti freschi e di pronta beva quanto piuttosto vini invecchiati, che fanno macerazione e almeno un paio d'anni in botte.
«Per me, l'osmiza è un modo di stare in famiglia con le persone che apprezzano il mio vino», dice infatti Beniamino, così ribattezzato dai molti triestini che accorrono numerosi nei periodi di apertura, generalmente a marzo e ottobre, alcuni addirittura muniti di tanichetta da asporto. «Oggi però non è più come un tempo – spiega Zidarich - quando l'osmiza ti dava effettivamente da vivere. Noi da sempre facciamo vino e salumi in famiglia, è una tradizione. Abbiamo galline e maiali, che alleviamo allo stato brado. Il nome Siderig, da cui deriva il nostro cognome, si rintraccia a Prepotto sin dal 1688, e anche le vigne hanno sempre fatto parte della nostra storia. C'è stata però un'evoluzione. La nostra azienda ormai è affermata per i vini invecchiati e affinati».
Ci racconta di aver iniziato a imbottigliare nel 1988. «In quegli anni – dice - il Carso, soprattutto in ambito vitivinicolo, ha vissuto un momento di forte sviluppo. Ho incontrato un mercato molto interessante e, da allora, ho seguito questa strada al 100%, credendoci sempre, anche quando era totalmente in salita». Oggi il 90% della sua produzione va in bottiglia: ne produce circa 28mila all'anno.
«L'osmiza rimane però un tributo alla tradizione, quasi un dovere morale – sostiene Benjamin – anche perché crediamo sia bello continuare a stare fra la gente. A me piace molto essere vicino ai miei clienti e ai sempre più numerosi turisti che noto in giro, anche se gestire tutte le persone che arrivano richiede moltissimo tempo ed energie».
Zidarich produce vini naturali vinificando in purezza alcuni vitigni autoctoni come la Malvasia, la Vitovska e il Terrano, ma gioca anche con gli uvaggi, come nel caso del Prulke, che assembla vitovska, malvasia e sauvignon onorando lo storico toponimo di un'area di vigneti sotto Prepotto. O come nel caso del Ruje, altro toponimo storico locale, che mette insieme invece merlot e terrano. Il suo ultimo orgoglio è però il Kamen, un vino bianco, prodotto con uve di vitovska che vengono lasciate fermentare e macerare nella pietra prima di passare alle botti in rovere. Una pratica millenaria che questo produttore ha deciso di riprendere, supportato dall'amico scalpellino Marco, che ha creato e realizzato i contenitori utilizzando la roccia carsica.
«Le nostre viti – dice Benjamin - crescono in vigne che sono caratterizzate da una forte mineralità e l'uva che ne esce poi ritrova nei miei tini lo stesso elemento: la pietra carsica. È un ritorno del frutta 'a casa', un ciclo che si chiude». Ha iniziato nel 2011 a far macerare il vino per un mese nella pietra, prima di farlo passare all'affinamento in legno, seguito anche dall'Università di Udine, che ha monitorato i processi. Al momento ha deciso di sperimentare un affinamento più lungo, di un anno intero, prima di travasare il vino in botte, e l'esperimento è in corso.
«In passato – afferma Zidarich - si sono cimentati con l'affinamento in pietra anche altri vignaioli del Carso o delle isole croate, altri lo stanno facendo oggi. Sarei felice se un numero consistente di produttori locali iniziasse a sperimentare questo materiale e diventasse una pratica che ci contraddistingue. È un processo che rappresenta appieno i caratteri del nostro territorio, unendo innovazione e tradizione». —
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