Zero-Covid: la Cina e l’idea di distruggere il coronavirus

La Cina è uno degli ultimi paesi che ancora perseguono l’idea che il Sars-CoV-2 possa essere eradicato, in contrasto alla strategia del Regno Unito, dell’Europa e della maggior parte degli altri paesi al mondo, che cercano di convivere con il virus, specialmente ora che la variante Omicron è attenuata.

Mauro Giacca
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity
Mauro Giacca ieri alla presentazione di Science&theCity

TRIESTE Londra: la vita scorre più intensa di quanto fosse nel 2019. File per entrare a fare acquisti nei negozi di lusso in centro, ristoranti inaccessibili se non si prenota con almeno una decina di giorni in anticipo. Numero di casi di Covid nel Regno Unito il 9 aprile: 41.469 (secondo Our World in Data). Shanghai: città sprangata, con i suoi 25 milioni di persone barricate a forza in casa. Numero di casi di Covid in crescita esponenziale: 90 il 1° febbraio, 9.040 il 1° aprile e 23.576 il 9 aprile. Ma rimangono poco più della metà del Regno Unito, in un paese più di 20 volte più grande. Perché allora questo lockdown totale in Cina?

La Cina è uno degli ultimi paesi che ancora perseguono l’idea che il Sars-CoV-2 possa essere eradicato, in contrasto alla strategia del Regno Unito, dell’Europa e della maggior parte degli altri paesi al mondo, che cercano di convivere con il virus, specialmente ora che la variante Omicron è attenuata. Vista la dimensione della sua economia e il grande mercato domestico, la Cina è finora riuscita ad assorbire bene la sua politica di zero-Covid, a differenza di paesi più piccoli come Singapore e la Nuova Zelanda che sono usciti malconci dal loro isolamento totale.

Ma quanto è ancora sostenibile una simile politica per la Cina? Sui social media i cittadini di Shanghai hanno iniziato a lamentarsi dell’approvvigionamento di cibo, visto che sono costretti a ordinare cibo e acqua e poi aspettare la consegna di verdura, carne e uova da parte del governo. L’estensione del lockdown ha ora travolto i servizi di consegna e i siti online dove fare gli ordini alimentari.

Molti dei residenti ormai sono costretti a un unico pasto frugale al giorno. Le autorità comunicano che Jilin City, nel nord-est del paese, ci ha messo 33 giorni per azzerare completamente il numero dei contagi.

Potrà Shanghai, l’hub finanziario del paese, resistere così a lungo senza causare un tracollo dell’economia? L’indice di borsa cinese ha già iniziato a soffrire. E soprattutto, quanto tutto questo è giustificato? La scelta strategica di imporre una politica zero-Covid nell’illusione di eradicare il virus è sempre stato uno dei mantra del governo di Xi Jinping. Poteva avere senso allo scoppio dell’epidemia, quando nessuno poteva immaginare la portata della malattia e il nuovo coronavirus faceva davvero paura. E la politica della tolleranza zero ha pagato bene durante le olimpiadi invernali di Pechino un paio di mesi fa, dove il controllo a tappeto e l’isolamento dei casi positivi è riuscito a bloccare la diffusione dei focolai, un successo che viene ampiamento sbandierato ora dal governo cinese. Ma un intervento mirato è una cosa, un blocco totale delle grandi metropoli del paese un’altra.

In realtà, il governo cinese si trova di fronte a una situazione molto più complicata dal punto di vista sanitario di quella che abbiamo noi in Europa. Secondo le statistiche ufficiali, la percentuale di persone vaccinate in Cina è relativamente alta (più dell’85%), ma questo è stato ottenuto grazie all’introduzione di un sistema digitale di passaporto vaccinale, richiesto per entrare negli edifici pubblici e nei posti di lavoro, in maniera analoga al nostro Green Pass. Ma questo sistema ha toccato soltanto in maniera marginale le persone anziane, fuori dal sistema produttivo, soprattutto nelle zone rurali.

La mancanza di una politica sanitaria vaccinale attiva per gli anziani fa sì che in Cina soltanto il 50% degli ultraottantenni, la fascia di popolazione più a rischio di malattia severa e morte, risulta oggi vaccinato. La recente esperienza di Hong Kong indica quale possa essere il costo di una bassa percentuale di vaccinazione negli anziani. All’inizio dello scorso marzo, a Hong Kong, ci sono stati più di 900 casi di Covid ogni 100 mila residenti, il tasso più alto registrato finora in tutto il mondo durante la pandemia, con un numero di morti che si avvicinava a 300 al giorno. Il 90 % di queste morti era in individui che non erano stati vaccinati. La Cina ora rischia una simile situazione, con 52 milioni di persone sopra i 60 anni che non hanno iniziato o completato il ciclo vaccinale. Degli individui con più di 80 anni, soltanto il 20 % hanno ricevuto le due vaccinazioni iniziali e il booster.

Un secondo problema che il governo di Xi Jinping deve affrontare è la qualità dei vaccini finora utilizzati. I due vaccini cinesi utilizzati nella maggior parte della popolazione (Sinovac e Sinopharm), basati sul virus inattivato, sono marcatamente meno efficaci dei nostri vaccini basati su adenovirus o mRNA (ad esempio, Sinovac e Sinopharm proteggono contro Delta al 52%, contro oltre il 90% dei vaccini di Pfizer e Moderna). Dati postati recentemente on line e non ancora revisionati indicherebbero che Sinovac sarebbe efficace contro i nuovi sierotipi, ma soltanto dopo la terza dose.

Ecco allora che il lockdown e la politica zero-Covid potrebbe dare tempo al governo di cinese di espandere rapidamente il numero di persone vaccinate includendo quelle più avanti con l’età, in modo da non avere gli ospedali travolti da casi gravi e centinaia di migliaia di morti se ci fosse un dilagare rapido di Omicron nel paese.

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