Zagabria: lancia una bomba nel bar per un litigio
BELGRADO. Poteva essere un massacro. Un massacro scatenato da un più che futile motivo, una banale lite, uno schiaffo in faccia appioppato in un momento d’ira, mentre volavano parole grosse e la tensione saliva alimentata dall’alcol. Un’offesa da riparare col sangue, almeno per il 55enne Branko Novak, che venerdì notte ha rischiato di passare alla storia come “lo stragista di Zagabria”. Zagabria che si è risvegliata ieri mattina sotto choc, dopo aver ascoltato alla radio la cronaca della vicenda. Radio e media locali che hanno raccontato quanto accaduto nel sobborgo zagrebese di Botinec verso le dieci di sera di venerdì. Lì, nel piccolo caffè “Miki”, all’angolo di un anonimo edificio, qualche tavolino sistemato di fronte all’ingresso per far godere agli avventori il primo caldo, scoppia un battibecco tra due clienti del bar. Non si conosce ancora il pomo della discordia, si sa solo che il proprietario, Mihael Holenda, cerca di appianare la questione. E riesce nell’intento, almeno con uno dei due litiganti. L’altro no, non si arrende. Troppo gravi le offese, forse, per Branko Novak. Non abita lontano dal locale, si alza e se ne va, su tutte le furie. Ma ritorna subito dopo, in mano una granata. Uno sguardo al locale, dove si trova ancora il rivale. Il lancio della bomba a mano e l’attesa. Pochi istanti e la deflagrazione provoca sette feriti, di cui due gravi. «C’era sangue dappertutto, chi non è stato ferito ha aiutato come ha potuto chi era a terra», ha raccontato il mattino dopo un testimone oculare. Novak non ha però prestato soccorso e non è scappato. Ha osservato la scena, una scena da Libano anni Ottanta o da Baghdad, e ha atteso l’arrivo delle ambulanze e della polizia, che lo ha arrestato poco dopo, senza che l’uomo opponesse resistenza. E senza che dicesse nulla sui motivi del gesto inconsulto. «Perché ha lanciato la bomba?», si continuano a chiedere tv, radio e giornali croati. La risposta migliore, al momento, è arrivata in diretta sulla televisione pubblica di Zagabria, la Hrt. «Quanto accaduto è solo un’ulteriore prova che troppa gente nel Paese possiede armi, a 18 anni dalla fine della guerra», un fattore di rischio che, a prescindere dalle ragioni dell’azione di ieri, «mette in pericolo le persone», ha spiegato il giornalista Hrvoje Zovko, parlando di Novak. Novak che si è poi scoperto essere un veterano del conflitto degli anni Novanta per l’indipendenza della Croazia. Un reduce, collegamento che purtroppo viene naturale, come Ljubisa Bogdanovic, il 60enne serbo che il 9 aprile scorso ha ucciso con la propria pistola 13 parenti e amici nel villaggio di Velika Ivanca. E se la Serbia è ai vertici mondiali per numero di armi in mano a civili – oltre 3 milioni su 7 milioni di abitanti, secondo le statistiche di “Gunpolicy” – anche la Croazia non scherza, con un milione di pistole e fucili per poco più di 4 milioni di abitanti.
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