Wärtsilä, se la rabbia di chi lotta è senza denti

Bandiere, paure e diritti. Ma il resto di Trieste dov’è?
Pino Roveredo
Un presidio Wartsila in Massimo Silvano
Un presidio Wartsila in Massimo Silvano

TRIESTE Sono le 15 del pomeriggio, il sole spedisce giù una forza feroce, fa tanto caldo, si suda, ma si va avanti con l’entusiasmo di chi si sente protagonista di una manifestazione importante, importante come chi chiede, esige, pretende, il rispetto di un diritto, l’espletamento di una giustizia. “Articolo 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

Sì, fa un caldo da svenire dentro l’abbraccio di una piazza Unità che si esibisce per tre quarti del suo spazio con la folla della protesta. Appena entrato in quell’abbraccio provo immediatamente una strana sensazione, quella di una rabbia senza denti, infatti dalle casse di uno stereo escono canzoni allegre stile anni Ottanta, e nell’aria c’è un enorme sventolio di bandiere, tante che a leggerle tutte si va in confusione, e tutte a spingere il bisogno di dimostrare una presenza. Il fatto strano è che dentro quell’atmosfera, transitano anche dei turisti che guardano, sorridono, non capiscono, forse pensano allo svago di una festa, ed è esatto. In piazza è in corso una festa in onore della disgrazia.

Dico la verità, io nella mia incosciente speranza avevo immaginato una piazza strapiena, dove era addirittura impedito il passo, e invece siamo presenti per tre quarti. E gli altri triestini? Saranno in ferie, lavoreranno, farà troppo caldo, avranno altro da fare, magari da una parte esternando dispiacere e dall’altra rallegrandosi di non essere dalla parte della disperazione. Che peccato!

Il caldo insiste, ma non si molla! Tutto in giro ci sono motivi d’incontro, scambio di umori, coro di voci. “Ciò sti finlandesi, prima i ga ciapado i soldi e adesso i scampa. Robe che succedi solo che in Italia”. “Gavemo dado tanto e adesso ne tocca ingrumar la polvere del niente!”. “Se perdemo noi, perdi anche tutta Trieste”. Sento una voce, qualcuno mi chiama, che sorpresa, è un mio vecchio compagno di lavoro.

Ci abbracciamo e accendiamo il colore lontano dei ricordi, i ricordi di quando alla Grandi Motori eravamo quasi quattromila operai. Ricordi che rammentano quella solidarietà che ai nostri tempi regalava cortei infiniti, e quando si passava le saracinesche si abbassavano, e di quando maleducatamente segnavamo con le croci sugli armadietti l’assenza dei crumiri! Quante vittorie quella volta.

Giro, guardo la gente, soprattutto gli operai in divisa, e penso a quanto sia pesante sopravvivere all’angoscia. Se va male, da una certezza occupazionale si passa alla depressione della disoccupazione. Da lì, l’ansia atroce del domani, il terrore per il futuro, una famiglia da mantenere, gli stili di vita che si ribaltano, l’orgoglio dei muscoli costretti all’umiliazione dei sussidi. Mi fermo, e con la testa dell’ex operaio, penso che se toccasse ai miei figli, agli amici, a chiunque: dovrei affrontare un dolore che non potrei schivare, evitare.

Ci sono stati colleghi, operaie, persone, che non hanno resistito alla vergogna preferendo chiudersi la vita, e portandosi dietro le condoglianze trasparenti di chi non ha mai mosso un impegno. Di quelle storie restano soltanto fredde statistiche che continuano a non spaventare nessuno. Continuo a girare, ascoltando distrattamente le parole, sempre le stesse, urlate dentro un microfono, parole che una sfiducia cancellerà un minuto dopo. Sì, giro, osservando la tristezza dei vecchi operai, quelli che conoscono il lavoro e la fatica meglio di qualsiasi politico o tuttologo di turno.

Antichi lavoratori che in questa piazza non riescono a trovare le parole per sollevare una speranza. Guardo anche i giovani operai, a cui sembra vietato pronosticare il futuro e costretti così a pagare la negligenza e interesse dei potenti. Le bandiere continuano a sventolare in onore di non si sa che cosa, molti dei presenti sono moralmente piegati dal dolore: è cascato il governo, manca il gas, la guerra continua, tutto aumenta, il lavoro lo muove la mano del prepotente, e noi… noi non possiamo assolutamente rimanere immobili, noi non si può perdere senza combattere, e resistere ed esistere senza la forza o solidarietà, quella dei triestini sì, triestini no! —

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