Vuoto il 10% delle case di proprietà comunale

Ipotesi “autorecupero”. Duecento alloggi-fantasma. Allo studio eventuali ristrutturazioni a spese degli inquilini in cambio di canoni parzialmente condonati
Una veduta della città
Una veduta della città

Non vivrà l’incubo che vive il cittadino “comune” all’avvicinarsi delle scadenze dell’Imu su seconde, terze, quarte case e via dicendo, visto che è l’ente impositore e non un soggetto contribuente. Però anche il Comune, quello con la C maiuscola e senza le virgolette, ha i suoi crucci in quanto pluriproprietario di immobili. Lasciando perdere palazzi, uffici, scuole, gioielli storici e quant’altro, il patrimonio immobiliare comunale ad uso abitativo ammonta a 2.180 alloggi, e di questi 203, al momento, risultano sfitti, inutilizzati. Insomma, quasi il 10% delle case di proprietà municipale, il 9,3%, è vuoto: vuoto in un’epoca in cui la fame di case, sotto forma d’inesauribili liste d’attesa Ater ad esempio, e sotto forma di assalti no-global ai Servizi sociali (ricordate quest’estate?), morde lo stomaco della politica. Tanto che la stessa amministrazione cittadina fa sapere di essersi messa già a caccia di soldi, in particolare bussando in Regione, ma anche trattando con l’Ater, buoni per una serie di riqualificazioni edilizie utili appunto a rimettere in sesto le case-fantasma.

Ma c’è pure un’altra strategia oggi allo studio in Municipio: quella di riuscire a prevedere, istituzionalizzando precedenti esperienze a “spot”, progetti di autorecupero degli alloggi sfitti da parte di chi ottiene il contratto d’affitto per abitarci, con la clausola di un condono del canone per un determinato periodo in cambio di un’adeguata ristrutturazione a spese dell’affittuario.

Vero è che - come osserva l’assessore a Lavori pubblici e Patrimonio Andrea Dapretto - una quota considerevole di tali abitazioni non abitate, benché ad oggi non quantificata con precisione, rientra in una sorta di fisiologico turn-over a breve termine: la fotografia scattata all’inizio di questo mese (e resa pubblica lunedì 8 in Consiglio comunale dallo stesso Dapretto, in risposta a una domanda d’attualità presentata dal consigliere di Fratelli d’Italia e suo predecessore al Patrimonio in epoca Dipiazza-bis, Claudio Giacomelli) comprende anche un “tot” di alloggi liberati di recente (per decesso dell’unico occupante o per trasloco di uno o più inquilini) soggetti attualmente a piccole manutenzioni per mano dei tecnici comunali e destinati ad essere riempiti a stretto giro. Ma è altrettanto vero che ci sono pure case sfitte di lungo corso, con alle spalle croniche necessità di ristrutturazione, irrisolte a volte per problemi di natura tecnica e più spesso per carenza di denari, aggravata dal Patto di stabilità.

Da qui l’idea sviluppata proprio attorno al dibattito dell’8 settembre (attorno vuol dire prima, durante e dopo, in un clima a quanto pare bipartisan) di trovare il modo di far partecipare il cittadino-inquilino alla rimessa in ordine dell’alloggio inutilizzato. «In tempi di Patto di stabilità - così Giacomelli - non era mia intenzione buttarla in polemica. Come Fratelli d’Italia (analoga iniziativa l’ha fatta Daniele Mosetti a Muggia, si legga il riquadro, ndr) volevamo informarci anzitutto quanti sono i locali ad uso non abitativo attualmente sfitti (sono nove, ndr) e proporre all’amministrazione di riassegnarli a delle associazioni in cerca di una sede e disposte a ristrutturarle, attraverso una formula concessoria che contempli uno scomputo non matematico bensì forfettario. Così facendo il Comune ferma il degrado, rimette a reddito una proprietà e si sgrava da eventuali oneri condomininiali a prescindere dalla redditività. La nostra proposta iniziale prevede appunto i fori non abitativi, per ragioni di facilità burocratica, se poi dalle associazioni fosse fattibile allargare il campo alle persone fisiche... certo è che lasciare tutti quegli appartamenti sfitti non ha senso».

«Sono progetti - la chiosa di Dapretto - sui quali effettivamente stiamo lavorando. Già oggi determinati luoghi vengono dati a canoni cosiddetti ricognitori, simbolici, a fronte di piccoli lavori di manutenzione ad opera ad esempio di associazioni no-profit. In altri casi se vengono proposte delle migliorie da chi sta in un foro, la loro quantificazione viene già scomputata dal canone. Stiamo vedendo come strutturare la cosa, così come stiamo lavorando, anche con l’Ater, per arrivare a un quadro regolamentare per gli alloggi sfitti, in cui rientri se possibile anche la formula dell’auto-recupero da parte degli stessi privati inquilini».

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