Volare fino in Cina dalla poltrona di casa
di Roberto Carnero
Il mito dell’Oriente, per gli intellettuali europei, è stato un mito persistente. Si parla di “orientalismo” – cioè di mitizzazione dell’Oriente come luogo radicalmente “altro” rispetto alla cultura europea, dunque come possibilità di alternativa e di trasgressione in termini antropologici, religiosi, sessuali – come di una variante dell’esotismo. Sono ancora illuminanti in tal senso le pagine di un saggio quale Orientalismo (1978) dello studioso palestinese Edward Said.
Può essere questa, insieme alla densa introduzione di Luca Clerici al recente “Meridiano” Mondadori dedicato agli Scrittori italiani di viaggio (1861-2000) (pagine 1820, euro 65,00), la migliore lettura preliminare per comprendere l’atteggiamento di scrittori come Alberto Moravia, Giorgio Manganelli e Cesare Angelini, viaggiatori nell’estremo Oriente e in medio Oriente nel secolo scorso, dei quali sono usciti in questi giorni alcuni volumi che costituiscono delle ghiotte riproposte. Particolarmente adatte – ci sembra – a quest’estate 2013 che, colpa della crisi, vedrà rimanere a casa un numero molto consistente di italiani. Insomma, se il budget familiare consente soltanto qualche weekend fuori porta, la letteratura è ancora una grande risorsa per viaggiare in terre lontane, almeno con la mente.
Partiamo da Moravia, di cui Bompiani manda in libreria, per la sapiente cura di Luca Clerici, i diari di viaggio in Unione Sovietica e in Cina: Un mese in Urss (pagine 125, euro 9,50) e La rivoluzione culturale in Cina, ovvero il Convitato di pietra (fotografie di Dacia Maraini, pagine 200, euro 10,00).
In Russia Moravia ci va nel 1958 e dalle prime pagine del libro emerge il duplice atteggiamento dello scrittore comunista: da una parte il sentimento appassionato dell’intellettuale europeo che si confronta con la cultura di Dostoevskij, Cechov e Gogol, che a Leningrado si appassiona ai luoghi dove abitò l’autore dei Fratelli Karamazov, che sulla base delle cose che vede è pronto a farsi suggestionare in relazione alla propria memoria letteraria; dall’altra parte, invece, l’interesse per la prassi politica del Paese in cui si è realizzato il socialismo reale, per l’economia di piano e i suoi meccanismi, che cerca di illustrare e spiegare al lettore borghese occidentale.
A Moravia sta a cuore analizzare e interpretare l’Unione Sovietica come laboratorio di dottrine sociali, senza che manchi, di tanto in tanto, qualche cauto elemento di critica. C’è un sincero desiderio di penentrare la cultura politico-sociale del popolo russo. Come quando, visitando il mausoleo di Lenin, sulla Piazza Rossa di Mosca, decide di mettersi in fila con i locali: “Mi ero messo apposta tra i russi: e perciò dovevo fare la fila. Ma le delegazioni straniere non la facevano ed accedevano direttamente al mausoleo, senza alcuna attesa. Ne vidi una, di cinesi o indocinesi, piccoli uomini gialli in tunica e pantaloni blu, che si precipitavano al passo di corsa, attraverso la piazza, verso il mausoleo. Ma io volevo fare esattamente quello che avrebbe fatto un russo di provincia. di passaggio a Mosca. Chissà, forse facendo le stesse cose che facevano questi russi così pazienti che aspettavano dietro e davanti a me sotto la pioggia, sarei riuscito a provare i loro stessi sentimenti”.
In Cina si recherà invece nove anni più tardi, nel 1967. È la prima tappa di un viaggio che lo porterà, con la giovane compagna Dacia Maraini, anche in Giappone e in Corea. Le corrispondenze dalla Cina, pubblicate dal “Corriere della Sera”, verranno raccolte in volume l’anno successivo, il ’68 della contestazione operaia, giovanile e studentesca.
In realtà Moravia in Cina c’era già stato molti anni prima, nel 1937, ed è quindi naturale che sia in grado di notare come il gigante asiatico sia nel frattempo cambiato: il Paese bloccato della prima metà del secolo, è ora un calderone politico-sociale in pieno fermento. Moravia rimane colpito, nella società cinese, dalla ricerca ossessiva dell’uniformità in tutti gli aspetti della vita (dal vestiario alla religione) e dal culto appassionato per il grande capo, Mao Tze-tung. Siamo nel pieno della rivoluzione culturale, di cui lo scrittore non coglie gli aspetti drammatici (persecuzione del dissenso, campi di rieducazione ecc.), che del resto erano allora poco noti agli intellettuali occidentali. Caso mai la sua critica si indirizza proprio sulla società occidentale del benessere, quando essa viene messa a confronto con la realtà cinese.
Cina e altri Orienti si intitola il libro di Giorgio Manganelli pubblicato da Adelphi a cura di Salvatore Silvano Nigro (pagine 350, euro 22,00). Rispetto allo sguardo impegnato di un Moravia, il punto di vista di Manganelli è puramente estetico. Manganelli è sempre pronto a notare la curiosità, ma non nel senso del colore locale (che non gli interessa affatto). Ciò che desta la sua attenzione è l’elemento dissonante, la cosa straniante, come straniato è, costantemente, il suo approccio a questa realtà così complessa, per decodificare la quale egli sa di non possedere neanche tutti gli strumenti che sarebbero necessari. In questo ricco volume, allestito nel 1990 dallo stesso autore poco prima di morire, non troviamo soltanto il resoconto del viaggio in Cina (compiuto nel 1972), che era già stato pubblicato nel 1974: si aggiungono anche i diari dei viaggi in Arabia, Pakistan, Kuwait, Irak, effettuati tra il 1975 e il 1988.
Infine un viaggio in Terrasanta, quello compiuto da Cesare Angelini a due riprese, nel 1932 e nel 1937, sul quale possiamo ora leggere il libro Terrasanta quinto Evangelio, con una bella prefazione di fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa (Lindau, pagine 170, euro 17,00). Quella di Angelini (1886-1976) è una figura luminosa della cultura cattolica italiana più avanzata dell’ultimo secolo. Sacerdote e critico letterario (grande studioso di Manzoni e della letteratura religiosa), don Angelini si reca nei luoghi che avevano visto la predicazione di Cristo alla ricerca delle tracce del sacro. Il suo racconto si muove tra passato e presente, tra l’emozione dell’uomo di fede e la curiosità dello scrittore, tra cronaca e riflessione spirituale. Così spiega il titolo del libro. “Non può comprendere pienamente i quattro Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni chi non ha visitato la Terrasanta”. Così Angelini guida il lettore alla suggestiva scoperta dell’“accordo perfetto dei testi e dei luoghi”.
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