Vivere più a lungo grazie ai geni dell'intelligenza
TRIESTE Un paio di decenni fa, uno studio negli Stati Uniti si era posto il problema di capire quali fossero i determinanti dell’intelligenza umana. Lo studio era basato sulla misurazione del quoziente di intelligenza (Qi), che fornisce una valutazione numerica in risposta a una serie di quesiti di logica. Lo studio indicò che scolarità, reddito o ambiente culturale avevano poca correlazione con l’intelligenza. L’unico parametro associato al Qi risultò essere il Qi dei genitori. Uno potrebbe facilmente obiettare che non esiste una forma di intelligenza sola, ma tante, inclusa quella matematica, sociale o artistica, e che il Qi queste non le misura tutte. Verissimo. Ma anche per ciascuna di queste capacità esistono evidenze che esse si trasmettono in famiglia e sono quindi ereditabili. Così come è possibile selezionare topi più “intelligenti” in soltanto poche generazioni incrociando quelli che svolgono in maniera più efficace un compito cognitivo complesso, come quello di uscire da un labirinto.
Quali sono questi geni dell’intelligenza? Un gruppo di ricerca coordinato dalla genetista Danielle Posthuma della Vrije University di Amsterdam pubblica questa settimana su Nature Genetics il più vasto studio finora condotto per rispondere a questa domanda. La ricerca ha attinto all’informazione sulle variazioni genetiche di quasi 260mila individui e le ha associate alla performance in una serie complessa di test cognitivi, utilizzati in sostituzione del primitivo Qi e in grado di stabilire un fattore noto come “g”, il fattore generale dell’intelligenza. Lo studio rivela come siano almeno un migliaio i geni collegati alle funzioni cognitive superiori; la maggior parte di questi sono espressi nel cervello e sono coinvolti, durante lo sviluppo, nella formazione delle sinapsi tra i neuroni. Un risvolto interessante della ricerca è che i geni correlati all’intelligenza allungano anche la vita e proteggono dal morbo di Alzheimer dalla schizofrenia, ma sono invece associati all’autismo.
Sempre nello stesso numero di Nature Genetics, Posthuma e suoi colleghi riportano anche i risultati di un altro studio, in cui hanno associato i tratti della personalità che portano alle nevrosi alle variazioni genetiche di quasi mezzo milione di persone, tratte da una banca di campioni del Regno Unito e dalle informazioni di 23andMe, l’azienda di genetica personalizzata di Mountain View, in California, che ormai dispone dei dati di oltre 5 milioni di utenti. I risultati mostrano come siano oltre 500 i geni coinvolti, e che le persone ansiose che tendono a preoccuparsi hanno geni diversi da coloro che invece cadono in depressione, indicando come esista una predisposizione diversa per queste due condizioni.
Nel loro insieme, questi risultati dimostrano ancora una volta che anche le nostre funzioni superiori non sfuggono al controllo della genetica. Ma indicano anche che i meccanismi e i processi coinvolti sono complessi e non possono essere ridotti all’effetto di soltanto una manciata di fattori. Meglio così, perché questa complessità almeno terrà a bada tentativi grossolani e pericolosi di eugenetica. —
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