Vito para gli attacchi su A2A Analisi di Arpa sul pregresso

L’assessore regionale in Comune: «Nessun progetto sull’utilizzo delle biomasse» Ricerca dei microinquinanti emessi in passato anche da aziende non più esistenti
Di Tiziana Carpinelli
Bonaventura Monfalcone-31.03.2016 Incontro in consiglio sulla centrale A2A-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-31.03.2016 Incontro in consiglio sulla centrale A2A-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

Impermeabile alle domande-boomerang dei consiglieri comunali, che in diversi casi hanno tradito più o meno velate accuse di inerzia, una Sara Vito in inedita versione panzer ha rispedito al mittente le critiche dell’opposizione in aula contraccambiando con altro quesito, che ha suonato più o meno così: «Prima di noi è stato forse fatto qualcosa?». Dunque rivendicando la maternità dell’Osservatorio ambientale, ribadendo l’intento di decarbonizzazione della centrale e riversando ancora linfa a nuove indagini sull’inquinamento a Monfalcone l’assessore regionale è apparsa al Consiglio comunale riproponendo come un mantra quanto fin qui sempre sostenuto. Cioè che la giunta Serracchiani era senz’altro «al corrente che una nuova normativa nazionale avrebbe prorogato l’Aia in diversi siti industriali», ma ignorava «che la riproposizione fosse all’acqua di rose per una centrale così complessa come A2A». Insomma, autoassoluzione per l’estensione dell’attuale regime al 2025, fermo restando però che l’impegno, a partire dal Piano energetico regionale e poi con quello sulla qualità dell’aria, è di portare avanti «ciò che è da sempre un obiettivo nel programma elettorale» dell’esecutivo Serracchiani, vale a dire la decarbonizzazione.

Unico colpo di scena, a fronte dell’esplicita domanda del capogruppo democratico Paolo Frisenna, bissata poi da Giuliano Antonaci (Nuovo polo per Monfalcone), sull’ipotesi di una conversione a biomasse dell’impianto, l’annuncio che «su questo non c’è nulla: sarà una cosa che A2A ha pensato o ipotizzato, ma non c’è stato alcun confronto con la Regione e dunque non esiste un progetto». Quanto alle recenti frizioni Altran-Serracchiani per l’incontro in solitaria con i vertici aziendali della centrale «non mi pare una cosa scandalosa». E poi giù l’affondo verso chi in Regione l’ha preceduta: «sui temi ambientali ho trovato trascuratezza». Non c’è un obbligo normativo, ha proseguito Vito, che imponga l’avvio di indagini come quelle svolte a Monfalcone, definita dal direttore dell’Arpa Luca Marchesi «l’area più studiata e monitorata a livello regionale, come Servola». E quando vai ad avviare ricerche «non puoi sapere quello che vien fuori», ancora Vito. Vedi le sintesi sulle precedenti puntate, ovvero l’illustrazione dell’ultimo studio epidemiologico sugli inquinanti, svolte dal professor Fabio Barbone e Diego Serraino, relatore del Cro di Aviano, i quali hanno precisato metodi di ricerca e approfondito aspetti legati alle statistiche. In particolare il primo, pungolato dai ficcanti quesiti di Ciro Del Pizzo (Gruppo misto) in merito all’incidenza di particolari tipi di tumori, ha precisato «che la realtà è complessa, soprattutto se non c’è un’unica fonte di inquinamento da studiare: io non ho mai detto che le centrali a carbone non sono un problema, anzi sostengo ciò che dice Obama e cioè la minimizzazione degli inquinanti a prescindere». «Ma - ha concluso - non si deve scartare alcuna fonte, anzi tale atteggiamento sarebbe negligente». E ha citato Civitavecchia, per alcuni aspetti simile a Monfalcone, dove da 15 anni si tenta di capire se si debba intervenire su una centrale o sul porto per migliorare la qualità della salute dei residenti.

Novità, invece, sul fronte dei prossimi progetti, in primis sui metalli, che Arpa - cui Vito ha dichiaratamente lasciato «carta bianca» - intende qui avviare. Li ha spiegati Marchesi: reperire più informazioni su microinquinanti emessi in passato da fonti puntuali, ovvero aziende esistenti o non più presenti. I controlli all’epoca venivano archiviati in faldoni e riposti su mensole di enti diversi. Toccherà rintracciarli, catalogarli e archiviarli. Quanto ai tempi, sollecitati da Suzana Kulier (Alternativa), ci vorranno dai 6 agli 8 mesi. Quindi i dati andranno elaborati, attraverso modelli di calcolo di dispersione, per stabilire le ricadute di qualsiasi fonte (un anno). Infine, su input dei comitati, bisognerà correlare le informazioni sui metalli ai dati sanitari, per picchi di concentrazione. Da ultimo, nel 2016, un monitoraggio sui licheni.

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