Vita Nuova chiude dopo un secolo di storia. La Diocesi: «Spese non più sostenibili»
TRIESTE Dopo un secolo di storia chiude i battenti il settimanale della Diocesi di Trieste, Vita Nuova. Il numero del prossimo venerdì 26 giugno sarà l’ultimo: il vescovo Giampaolo Crepaldi e il responsabile unico della società della testata, Alessandro Amodeo, ne hanno dato l’annuncio al direttore don Paolo Rakic e ai cinque dipendenti, giovedì mattina.
La scelta, fa sapere la Diocesi, è dovuta a ragioni economiche: le difficoltà delle parrocchie nella fase epidemica avrebbero reso alla Chiesa triestina insostenibili le spese necessarie a continuare le pubblicazioni. Non ci sono conferme sull’entità del “buco”, se non che si attesterebbe nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro.
Per i lavoratori si prospettano ora 14 settimane di cassa integrazione, in seguito alle quali l’orientamento della Curia è di dar fondo alle ferie. I dipendenti di Vita Nuova Srl (la società fondata negli ultimi anni per fare da “sostegno” alla testata) sono tre: due giornaliste part time e una dipendente di redazione. Altre due persone, con ruoli più tecnici, sono invece dipendenti della Diocesi in distacco a Vita Nuova. A questi va aggiunto il parco di collaboratori, che non avranno più pagine su cui pubblicare i loro pezzi.
Il direttore don Rakic preferisce non commentare e rimanda all’editore, ovvero la Curia. Don Amodeo tratteggia così i fatti che hanno portato alla scelta di chiudere: «Vita Nuova non è mai riuscita a vivere delle vendite né degli abbonamenti. Anche le vendite nelle parrocchie non erano felicissime. In passato il vescovo aveva invitato i parroci ad acquistare copie a seconda della grandezza della parrocchia. Ma in questo momento nessun vescovo al mondo potrebbe chiedere alla parrocchie di dare altri soldi. Versano tutte in situazioni difficili, il lockdown ha colpito duro». La scelta di monsignor Crepaldi, assicura Amodeo, è stata ritardata il più possibile: «È encomiabile che di fronte alla crisi della stampa la nostra Diocesi abbia mantenuto così a lungo il suo giornale, laddove altre Diocesi anche molto più grandi hanno rinunciato. Forse, se non ci fosse stato il Covid, sarebbe andata in un altro modo».
Quanto ai lavoratori, prosegue don Amodeo, «la scelta fatta dalla Curia è stata di utilizzare tutti gli ammortizzatori sociali possibili. Vedremo cosa succederà quando, in agosto, scadrà il dpcm in vigore, quali possibilità ci saranno». È improbabile, però, che la testata rinasca, seppure in altre forme: «Ad oggi non ho certezze su questo - dice il sacerdote -. Con i dipendenti ci siam lasciati dicendo che avremmo valutato ogni possibilità. Al momento, però, non credo ci sia la possibilità di far riaprire Vita Nuova».
Si conclude così una vicenda lunga e importante per il giornalismo triestino: fondata nel 1920, Vita Nuova non ha pressoché mai interrotto le sue pubblicazioni per un secolo intero. Uniche eccezioni alcuni numeri durante la Seconda guerra mondiale, a causa della carenza di carta, e il periodo dell’occupazione jugoslava. In tempi più recenti, Vita Nuova fu uno strumento importante per il vescovo Eugenio Ravignani, venuto a mancare di recente, che se ne fece carico per poi affidarne la direzione a una donna, Fabiana Martini, che restò al timone dal 2000 al 2010. A chiudere la sua direzione fu proprio il vescovo Crepaldi, in seguito alla polemica legata alla scelta di cancellare la pagina delle lettere. Commenta oggi Martini: «Mi addolora moltissimo e non solo per motivi personali. Perché sono 100 anni di storia di questa città (peraltro festeggiati due mesi fa). Perché ci sono in gioco dei posti di lavoro. Perché una voce che si spegne è sempre una sconfitta per la comunità. Mi chiedo se davvero non si potevano tentare altre strade prima di arrivare a una decisione così drastica: una chiamata alla città, alle parrocchie, ai lettori che negli anni hanno dato fiducia al settimanale». —
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