Visti per la Germania, è boom di domande. Consolati in tilt dalla Serbia all’Albania

In sei mesi 52 mila richieste di lavoratori già reclutati da aziende tedesche e pronti a partire. Ma i tempi si allungano

BELGRADO Un esercito di “Gastarbeiter” pronti a lasciarsi alle spalle casa, affetti e ricordi per rifarsi una vita all’estero. E troppe domande inviate ai consolati, per ottenere un agognato visto per lavorare in Germania. Sono questi i due principali ingredienti di una ricetta che ha mandato in crisi quella che a priori è considerata la burocrazia più precisa ed efficiente d’Europa: quella tedesca. Burocrazia che è andata in tilt nei consolati di Berlino situati nei Paesi balcanici ancora fuori dall’Ue – Bosnia, Serbia, Kosovo, Montenegro, Macedonia e Albania – a causa di una vera e propria valanga di domande di visto presentate da migliaia di cittadini della regione, pieni di speranza di ottenere il via libera sul passaporto, avendo già in tasca un contratto di lavoro in Germania.

A rivelare le difficoltà è stato un documento interno del ministero degli Esteri tedesco, visionato dal settimanale Der Spiegel. Il memo istituzionale ha messo nero su bianco che nella sola prima metà di quest’anno sono state circa «52 mila le domande» di visto pervenute dai Balcani extra-Ue, «quasi il doppio» rispetto al recente passato. Un boom di domande che ha reso praticamente impossibile gestire nei tempi previsti «le richieste di appuntamenti nelle ambasciate tedesche» per presentare i documenti necessari. E le istanze «potrebbero non essere più soddisfatte» fino a data da destinarsi, portando di fatto alla “chiusura” temporanea dei consolati, informa il documento, citato dallo Spiegel. Anche la Deutsche Welle, citando fonti diplomatiche, ha parlato di «crescita enorme delle domande; e il numero continua ad aumentare». Che la situazione sia seria è confermato dal documento visionato dall’autorevole rivista tedesca, dove si spiega che, per gestire la mole di lavoro, quantomeno bisognerebbe «quadruplicare» il personale nelle sedi diplomatiche più oberate di lavoro; ma investire così tante risorse per “importare” lavoratori dai Balcani è al momento «irrealistico», ha segnalato il settimanale tedesco, indicando poi che Berlino potrebbe persino considerare di delegare ad altre istituzioni, direttamente in Germania, l’esame delle domande. Le voci contrarie sono però tante, perché il ministero degli Esteri tedesco – e non solo – giudica lo screening dei visti prima della partenza come «uno strumento di controllo dell’immigrazione che non vogliamo far passare di mano».

Si tratta però di decidere cosa fare, perché è un problema urgente. Occorre infatti dare risposta alle sollecitazioni di «rappresentanti di settori dell’economia» tedesca che hanno bisogno di manodopera e, dal 2015, usano i Balcani come uno dei bacini privilegiati da cui attingere preziosa manodopera specializzata e non. E sono poco propensi ad aspettare troppo a lungo futuri lavoratori già reclutati, ma privi di visto. Ma ci sono anche i bisogni degli emigranti che hanno scelto la Germania come terra promessa. Emigranti in attesa di un visto per partire, tanti specializzati nei settori delle costruzioni, gastronomia, assistenza sociale e sanitaria, informatica, che – è stato denunciato già in primavera - ora devono attendere tempi interminabili per il visto.

In Serbia, ad esempio, si aspetta «tra i cinque e i dieci mesi, non raramente più a lungo», hanno specificato in primavera fonti del consolato alla Deutsche Welle. E il quadro è simile nel resto dei Balcani, in Kosovo in particolare, dove si può aspettare oggi fino a più di un anno un appuntamento al consolato. Troppo, per chi ha un sogno vicino a essere realizzato. E un contratto già in tasca.

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