Visentini: «L’Italia si riprenda lo stabilimento della Wärtsilä a Trieste»
Il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati: «La via è nazionalizzare, noi pronti a sostenerla con l’Ue: ci sono elementi che la rendono percorribile »
TRIESTE «Importanti le attestazioni di solidarietà, ora servono idee e scelte strategiche che la città deve chiedere e sulle quali deve sapersi coordinare con il governo. Perché Wärtsilä non tornerà indietro». Luca Visentini, udinese di nascita e triestino fin dai tempi dell’Università, nella Uil dal 1989, guida dal 2015 la Confederazione europea dei sindacati (Ces-Etuc). E dal suo punto di vista, quello di interlocutore di Bruxelles in materia di rappresentanza dei lavoratori, la questione è netta: «La strada è quella della nazionalizzazione della fabbrica. Ci sono elementi che la rendono percorribile in sede europea».
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Visentini, dietro la decisione annunciata dai finlandesi di dismettere la produzione a Bagnoli della Rosandra ci sono mere motivazioni economiche o possono pesare anche fattori geopolitici?
Non c’è molto di cui stupirsi, non è questo né il primo né l’ultimo caso di multinazionali che portano gli investimenti dove conviene loro di più. Inoltre il conflitto reca con sé i problemi che conosciamo, dall’interruzione delle catene di approvvigionamento agli aumenti dei prezzi. Se ci fossero ragionamenti geopolitici, la Finlandia in ingresso nella Nato potrebbe utilizzare realtà come Wärtsilä per incrementare il proprio coinvolgimento in un certo tipo di produzioni. Non sono addentro al caso specifico, ma qui vedo solo logiche industriali.
Cosa attendersi dal tavolo romano di mercoledì convocato dal ministro Giorgetti?
Francamente, in vicende simili quando si tratta di tamponare la situazione non arrivano risultati importanti. Ed è inutile mettersi a sindacare sulle motivazioni di Wärtsilä o pensare a trovare investitori alternativi... Abbiamo visto invece cosa hanno fatto Paesi come Francia e Germania dinanzi a multinazionali che decidono di disimpegnarsi da produzioni industriali strategiche: se ne sono semplicemente ripreso il controllo.
Wärtsilä, con il ceo Håkan Agnevall, sostiene che Trieste e l’Italia resteranno importanti per il gruppo.
Ha ragione chi dice che non si è mai vista una fabbrica senza reparto produttivo.
Cosa perderebbe la città?
Oltre al problema sociale enorme che si apre, il tema è quello della desertificazione industriale che continua in un capoluogo che non può certo vivere solo di turismo e terziario, per quanto importanti siano. Ma il dato è proprio quello strategico: la produzione di motori Wärtsilä è collegata a una serie di aziende, a Trieste così come nel resto d’Italia, inserite in un settore chiave, la navalmeccanica, che rischia di collassare causando perdita di competitività per l’intero Paese. Uno scenario devastante. Il governo deve assumersi la responsabilità di riportare lo stabilimento sotto il proprio controllo. Si può fare facilmente, in maniera diretta oppure attraverso i nostri vari gruppi industriali a controllo pubblico.
Come Fincantieri.
Fincantieri, Leonardo... Sono delle possibilità: la soluzione va costruita sulla base delle sinergie industriali che si possono creare.
Un percorso tutto da delineare.
Il punto è che i motori navali rientrano al 100% nella tipologia delle produzioni strategiche, giacché parliamo anche della possibilità di navi militari. Wärtsilä poi produce pure per centrali elettriche, altro fattore chiave di questi tempi. Certo, quello della nazionalizzazione delle attività industriali è un percorso che va concordato al meglio con la Commissione Ue per evitare che venga falcidiato dalle leggi sulla concorrenza o sugli aiuti di Stato, e per renderlo giustificabile rispetto ai regolamenti europei. Ma è assolutamente possibile. Tanto più in presenza di un altro dato importante a livello europeo: lo Stato finlandese ha lautamente finanziato la nuova fabbrica di Vaasa, dove le produzioni di Trieste andrebbero spostate, utilizzando i soldi europei del Pnrr destinati a Helsinki.
La crisi di governo non aiuta.
Ma se c’è la volontà politica basta un decreto da implementare in tempi successivi. Dopo avere consultato la Commissione, con il prestigio e i contatti che ha, Mario Draghi può trovare una soluzione in tempi brevissimi.
Cosa può fare Ces-Etuc?
Come abbiamo già fatto in altri Paesi, siamo pronti a interloquire con la Commissione Ue schierandoci al fianco di Roma, se decidesse di intraprendere questa strada. Possiamo contribuire a esplicitare la strategicità della produzione da un lato e l’emergenza sociale che si crea a Trieste dall’altro, in un dialogo di cui Bruxelles dovrà tener conto visti gli obblighi di consultazione con le parti sociali legati ai Trattati. —
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