Visentini: la mia salvezza a 10 minuti dalla bomba

Il triestino ex segretario della Uil regionale è sceso alla stazione metro di Maelbeek poco prima della strage: «Avevo una riunione di lavoro a cento metri da lì»

TRIESTE. «Il palazzo in cui mi trovavo al momento del secondo attentato, quello alla stazione di Maelbeek, è a un centinaio di metri di distanza da lì. E io da quella stazione ci sono sceso, credo, non più di dieci, quindici minuti forse, prima dell’esplosione».

L’ex numero uno regionale della Uil Luca Visentini, assieme a pochissimi altri (si legga l’articolo sugli altri concittadini letteralmente sfiorati dalla morte, ndr), è certamente il triestino che più da vicino è stato costretto suo malgrado a vivere la drammatica giornata di Bruxelles. Visentini dunque, che da alcuni mesi è il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, si trovava ieri mattina nelle viscere delle istituzioni europee tutt’altro che per caso.

«Avevamo in programma la riunione del Comitato esecutivo dei sindacati europei - spiega lo stesso Visentini nel tardo pomeriggio, dal telefono della casa di Bruxelles in cui vive - e tale riunione era stata convocata nella sede del Comitato economico e sociale europeo, che si trova per l’appunto a circa cento metri dalla fermata della metropolitana nei pressi della quale, come detto, è accaduto il secondo attentato dopo quello all’aeroporto. Ho sentito che lo scoppio è stato fatto risalire esattamente alle 9.11. Fortunatamente tutti i colleghi che dovevano partecipare a questa seduta, come me, erano arrivati prima perché essa era stata convocata alle 9 in punto. E in effetti eravamo proprio in apertura dei nostri lavori e stavamo commemorando le vittime dell’aeroporto, quando abbiamo ricevuto la notizia del secondo attentato. E a quel punto abbiamo ritenuto di sospendere qualsiasi attività, rimanendo di fatto bloccati nel posto in cui ci trovavamo fino alle tre del pomeriggio. Anche quando siamo usciti abbiamo visto una città comunque paralizzata, attraversata praticamente solo da poliziotti e soldati».

Prigionieri per ore e ore in un palazzo a due passi dal luogo del massacro. Ma vivi, insomma, e ciò grazie a una riunione che invece di dover iniziare alle 9.30, per dirne una, era stata “chiamata” alle 9. La mezz’ora del destino. I ragionamenti a mente fredda, però, non si abbandonano affatto alla consapevolezza d’averla scampata per un pelo. «Cosa provo? Anzitutto una grande sensazione di rabbia», riflette Visentini: «La condanna e la solidarietà alle vittime e ai loro cari sono ovvie e doverose, ma provo soprattutto tanta rabbia. La provo nei confronti di quelle persone che si autodefiniscono fedeli islamici ma che, in fondo, sono solo dei criminali. È importante tenere ben distinte le comunità islamiche da questa gente deviata, che peraltro è stata anche isolata dalle comunità stesse. Qui a Bruxelles, da quanto ne so, saranno un centinaio di estremisti tra migliaia di persone per bene. E non ci azzardiamo poi a fare parallelismi impropri con i rifugiati e il fenomeno delle migrazioni di massa che li riguarda adesso. Questi di norma sono esclusi sociali, di seconda o terza generazione, in Occidente. Non nuovi arrivati».

Il disagio del segretario generale della Confederazione sindacale d’Europa non è orientato solo dal pensiero sui terroristi, ma pure da quello sulla funzionalità delle strutture che li dovrebbero combattere. «Provo rabbia - chiude infatti Visentini - anche verso l’incapacità di prevenire un attacco del genere. Dopo l’aresto di Salah si poteva ben prevedere che ci potesse essere chi faceva salire repentinamente l’asticella del terrore qui a Bruxelles. Non tanto per rappresaglia quanto per paura, paura che lui facesse nomi e rivelasse obiettivi. Servirebbe insomma più azione preventiva di intelligence. Così forse si potrebbe evitare di piangere dei morti e di mostrarsi sorpresi per un attacco che, purtroppo, era nelle possibilità».©RIPRODUZIONE RISERVATA

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