Virus, il buon senso insidiato da internet
TRIESTE. «Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune» scriveva Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi. È il capitolo sulla peste di Milano, dove dopo l’affollata processione con le spoglie di San Carlo che avrebbe dovuto sconfiggere il morbo, i contagi erano invece aumentati. Anziché pensare all’assembramento come la causa, si continuava a dare la colpa agli untori che spargevano in giro polveri contagiose. Mutatis mutandis, non siamo forse in una situazione analoga? In cui per settimane veniva multato e represso chi andava in giro senza mascherina, poco importava se era da solo, in cui gli elicotteri sorvegliano le spiagge per reprimere solitari bagnanti o in cui l’autocertificazione era ben più importante della debita distanza? Per paura del senso comune, il buon senso è rimasto decisamente nascosto.
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Con un’aggravante però rispetto a Manzoni: che oggi c’è internet. Qui il senso comune impera senza rivali, e il buon senso spesso è proprio sparito del tutto. Il presidente del più potente Paese al mondo twitta su quali farmaci prendere, il governatore di una delle più industriose regioni italiane sostiene che ora il virus ha perso forza e quindi potrebbe essere artificiale. E dilagano i dispensatori di scienza facile, dai virologi che passano le giornate sui social invece che in laboratorio, agli improvvisati suggeritori di consigli.
Ma non pensate che la scienza sia immune da questo tracollo della qualità dell’informazione, messo a nudo dall’emergenza. Soltanto una piccola frazione degli articoli postati online (i cosiddetti pre-print) alla fine viene davvero pubblicato dopo revisione accurata. Ma qualsiasi pre-print è comunque ripreso dai social. Ad esempio, ricercatori di New Delhi il 31 gennaio avevano pubblicato un articolo che rivelava “inquietanti” somiglianze tra il coronavirus e HIV. Prima che la comunità scientifica indignata li costringesse a ritirare l’articolo, questo aveva già ricevuto 17 mila retweet ed era stato ripreso da 25 portali di informazione.
La tiepida risposta dell’Amministrazione degli Stati Uniti alla necessità dei tamponi si era anche basata su uno studio cinese, falso e poi ritirato, che affermava che questi danno il 47% di falsi positivi. Persino Neil Ferguson, l’epidemiologo dell’Imperial College che con il suo studio catastrofista aveva previsto 510 mila morti nel Regno Unito se non ci fosse stato il lockdown, aveva basato i suoi calcoli anche su uno studio poi rivelatosi falso.
Conclusione: la scienza è lenta ma precisa, internet è veloce ma fallace. Portiamo allora pazienza e diffidiamo di chi preferisce il secondo alla prima, magari alla ricerca di un po’ di facile notorietà.
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