Violenze sessuali sulla nipote, condanna a 5 anni per lo zio

La ragazzina raccontò a scuola degli abusi subiti dagli 11 fino ai 14 anni ma poi aveva ritrattato. L’uomo di origine indiana ha sempre negato le accuse
Bumbaca Gorizia 11.09.2018 Tribunale © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 11.09.2018 Tribunale © Fotografia di Pierluigi Bumbaca

GORIZIA. La rivelazione era avvenuta in classe, durante una lezione incentrata sul turismo sessuale in Thailandia. La ragazzina, 14 anni, aveva confidato ad un’amica: «È successo anche a me, con mio zio». L’uomo, quarantenne di origini indiane, residente a Gorizia, è stato condannato per violenza sessuale alla pena di 5 anni di reclusione.

La sentenza è stata pronunciata dal Collegio presieduto dal giudice Marcello Coppari. Il pubblico ministero aveva richiesto 6 anni e mezzo, con la concessione delle attenuanti generiche, alle quali s’era opposto il legale di parte civile, avvocato Denisa Pitton, in rappresentanza della minore attraverso i genitori. Ad escludere le attenuanti generiche la pena si sarebbe aggirata attorno ai 10 anni.

Assoluzione richiesta dal difensore, avvocato Massimo Macor, convinto dell’innocenza del suo assistito. Secondo l’accusa, gli abusi sessuali nei confronti della nipote erano avvenuti durante un periodo che va dagli 11 fino ai 14 anni. Due le circostanze contestate: l’uomo aveva buttato la ragazzina sul letto e gettandovisi sopra aveva simulato un rapporto sessuale, e poi l’abbraccio da dietro premendola con il suo corpo. Il processo al Tribunale di Gorizia, s’è svolto a porte chiuse. Non è possibile fornire l’identità dell’imputato, ai fini della tutela della minore.

L’insegnante allora aveva sospeso la lezione, per ascoltare l’allieva con la dovuta discrezione e cautela. Aveva pi informato la famiglia. La madre assieme alla nonna e alla zia, moglie del 40enne, avevano affrontato la delicata questione con la ragazzina che però non aveva confermato la rivelazione, sconfessandola due giorni dopo alla stessa insegnante. Che nel frattempo aveva inoltrato la segnalazione alle istituzioni preposte.

Nel luglio 2013 le assistenti sociali avevano convocato la ragazzina in Comune, alla presenza di due psicologhe, l’insegnante e due poliziotte. Un colloquio durato oltre un’ora, con la minore a ripetere che le “attenzioni” dello zio non erano vere, erano solo comportamenti innocenti fraintesi. Le assistenti sociali temendo che la ragazzina avesse paura di ammettere i fatti, avevano inviato una lettera ai genitori comunicando la trasmissione degli atti in Procura.

Era stato a quel punto che il padre della 14enne aveva scoperto l’inquietante situazione. Era seguita una riunione di famiglia, con oltre una decina di persone a mettere sotto pressione il 40enne affinché confessasse. Lui aveva invece continuato a negare, ritenendosi estraneo a quelle pesanti accuse.

L’uomo era tornato in India per spiegare le sue ragioni al nonno, riferimento per antonomasia della famiglia. Al rientro la voce circa i comportamenti tenuti nei confronti della nipote aveva raggiunto il suo ambiente di lavoro. Il 40enne aveva deciso di licenziarsi trovando altra occupazione. S’era anche separato dalla moglie. I coniugi s’erano riavvicinati un paio di mesi dopo, nel febbraio 2014, e avevano affrontato un percorso terapeutico, affiancati dalle assistenti sociali.

Nel 2015 la Procura aveva chiuso le indagini richiedendo l’incidente probatorio per ascoltare la minore. Successivamente il padre della ragazzina aveva presentato denuncia. L’avvocato Macor aveva fatto istanza alla Procura e al Gip affinché l’incidente probatorio avvenisse con la partecipazione di psicologi esperti. Istanza rigettata, davanti al Gip c’erano solo la madre e la ragazzina, la quale nel riconfermare le accuse, aveva aggiunto altro, appesantendo la posizione del 40enne.

In dibattimento sono stati ascoltati numerosi testi, tra cui i famigliari della ragazzina e, presentati dalla difesa, i datori di lavoro dell’imputato, la moglie e l’assistente sociale. Sono emerse versioni diverse e contrastanti, anche rispetto a quanto la minore aveva dichiarato in fase di indagine.


 

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