Villesse, sindacati all’attacco sul contratto Ikea: sabato sarà sciopero
MILANO Ikea chiude bottega per un giorno. Saracinesche abbassate, piazzali deserti e carrelli vuoti anche nello store di Villesse. Se avete intenzione di comprare una libreria o una lampada in uno dei 21 negozi della multinazionale svedese, sabato 11 luglio non fa per voi. Perché, per la prima volta nella storia del colosso nordico nel nostro paese, scatterà lo sciopero nazionale.
Le prove per la serrata generale erano andate in scena a inizio giugno, quando parti sociali e dirigenza non sono riuscite a trovare un accordo sul rinnovo del contratto integrativo provocando l’astensione dal lavoro. Incomprensioni che il tempo non ha ammorbidito, anzi sono sfociate in assemblee infuocate fino alla proclamazione dello sciopero di sabato prossimo.
Ad annunciare la mobilitazione è stata una nota della Filcams Cgil e confermata da Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil. «Credevamo che il modello Ikea fosse basato sul low cost solo per i consumatori ma non per i dipendenti, ai quali invece si chiedono ulteriori sacrifici per rendere sostenibili i bilanci aziendali», dice Giuliana Mesina della segreteria nazionale Filcams Cgil.
Il big del mobile svedese ha affermato che negli ultimi tre anni le perdite dovute alla crisi hanno prodotto un disavanzo complessivo di oltre 53 milioni di euro. Nonostante tutto non ci sono stati tagli di personale. Anzi, l’obiettivo della società è di continuare ad espandersi in Italia. E ancora oggi ci sono una ventina di posizioni aperte sul sito dell’azienda. Ikea però chiede uno sforzo ai propro lavoratori. A partire dal rinnovo del contributivo.
«Intanto- continua la sindacalista della Filcams Giuliana Mesina – c’è la richiesta di un taglio lineare della maggiorazione sul domenicale e sui festivi. È bene ricordare che più del 70% dei lavoratori sono part time, rinunciare ai maggiori introiti del festivo significa mettere queste persone in serie difficoltà». Altro punto della discordia è la variabile produttività, ovvero una quota fissa di busta paga che si trasformerebbe, nelle intenzioni della società, in un elemento variabile della retribuzione. Insomma il modello Marchionne, con premi legati ai risultati, poi seguito anche da Fincantieri, comincia a far scuola anche nella grande distribuzione organizzata.
E il braccio di ferro sull’integrativo potrebbe essere l’antipasto di uno scontro al calor bianco sul contratto nazionale di primo livello. Perché Ikea fa parte di Federdistribuzione, l’associazione di categoria della Gdo, che è uscita dall’alveo di Confcommercio,e quindi dagli accordi sul terziario, per determinare il “primo contratto della distribuzione moderna”. Contratto che è ancora oggi nelle secche delle negoziazioni.
«Gli adeguamenti salariali sono rimasti fermi al 2011 perché Ikea, insieme con l’associazione di riferimento è uscita dal contratto nazionale». In questa terra di nessuno di contratti scaduti si consuma uno sciopero che rischia di far male. Dura infatti la risposta di Ikea che in una nota afferma che già a maggio aveva accettato di prolungare di un anno la durata del Contratto Integrativo 2014 e che "l'intransigenza del sindacato non contribuisce ad una prospettiva positiva del confronto avviato”.
Inoltre la multinazionale ha confermato le 4 proposte presentate negli incontri precedenti, “mossa dalla necessità di assicurare un futuro solido e sostenibile alla sua presenza in Italia e di poter continuare il piano di espansione attraverso l’apertura di nuovi punti vendita”. In dettaglio, i punti fermi sono: un sistema di valorizzazione della parte di retribuzione variabile, innovativo sistema di gestione dei turni, studiato per dare la possibilità ai collaboratori di scegliere i propri orari di lavoro, proposte volte a rendere più equi i trattamenti per il lavoro domenicale e festivo, migliorare l’attuale sistema di welfare ed affrontare congiuntamente le tematiche attinenti la sicurezza sul lavoro.
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