Vienna, una porta spalancata sui mercati dell’Est

VIENNA
La Mitteleuropa nasce e finisce qui, a Vienna. Questa città che ancora si considera porta dell’Est, l’uscio spalancato di una casa europea senza più pareti, rimane in bilico tra un passato lontano e un futuro da inventare. Adagiata nel mezzo del vasto bacino circondato dalle alture boscose del Wienerwald, con un milione e 600 mila abitanti Vienna resta attaccata al suo mito con la stessa tenacia con cui cerca di scrollarsi di dosso una storia recente aggrovigliata intorno ad alcuni nodi irrisolti, dalla sempre negata acquiescenza nei confronti del nazismo fino all’attuale, latente xenofobia. Eppure se c’è una città dove il termine Mitteleuropa può ancora avere un senso questa è Vienna, che guarda all’Europa con fiducia e dell’Europa vuole a tutti i costi essere il centro.


In un agosto tradizionalmente bagnato da piogge di portata monsonica, la Kärtner Strasse, la strada che attraversa il Ring, primo nucleo storico della città, è identica a qualsiasi altro corso di una qualsiasi altra capitale europea, con i grandi magazzini, i negozi per turisti, le scintillanti vetrine griffate, i confortevoli arredi urbani. Se non fosse per la faccia di Mozart che spunta letteralmente ovunque, soprattutto in ogni forma possibile di cioccolato e cioccolatini esibiti persino nelle gioiellerie, e in una serie di cloni-simulacri, sia maschi che femmine, con o senza parrucca ma tutti agghindati in calze bianche e giacca rossa che a ogni angolo di strada reclamizzano alberghi, ristoranti e discoteche - se dunque non fosse per gli onnipresenti fantasmi di Wolfgang e di Sissi sembrerebbe di essere in una qualsiasi altra città europea. Ma qui siamo a Vienna, metropoli incollata alla sua identità al di là dei più abusati cliché, che qui sono tanti e tutti veri.


In ogni manifesto pubblicitario acchiappaturisti sparpagliato nei dintorni si legge la frase «Wien ist anders», Vienna è diversa. Ed è questa la chiave per capire la Vienna di oggi, una città che esibisce fino alla nausea i suoi Mozart con le carrozze nere stile film Amadeus, i suoi Schiele, la sua musica e i suoi caffè, e nello stesso tempo è stata capace di galoppare l’euro con un’abiltà da cavaliere lipizzano e oggi è capofila nella corsa ai mercati dell’Est Europa. A differenza di quanto avvenuto in Italia, Vienna ha saputo amministare il passaggio alla moneta unica con oculatezza e intelligenza, e se oggi la vita costa meno che a Trieste questo lo si deve a tanta disciplina e a un sistema di «welfare» che porta nelle case dei viennesi sicurezza sociale e assegni familiari autentici e consistenti. Amministrata con rigore e un po’ di pignoleria da un governo locale tradizionalmente di centrosinistra - in controtendenza con il resto del Paese guidato dalla destra popolare dell’Övp di Wolfgang Schüssel - Vienna la rossa si sta scrollando di dosso un’apatia che fino agli anni Ottanta ne faceva una metropoli grigia e sonnolenta, e ora si avvia a passo di valzer a conquistarsi un ruolo di tutto rispetto nel cuore del continente.


E a girare per le sue strade si capisce come Trieste avrebbe ancora qualcosa da imparare dalla vecchia madre, con la quale condivide alcuni caratteri, molta storia, un gusto sottile per la caricatura e nient’altro, perché se tutte e due le città amano baloccarsi con il passato e soffrono di radicati complessi d’identità, Vienna ha saputo imboccare una strada diretta verso l’Europa mentre Trieste gira ancora intorno a se stessa.


IL PESO DELLA MEMORIA
. Per capire qualcosa di un luogo la cosa migliore da fare è cominciare là dove riposa la sua memoria. Il cimitero centrale di Vienna, come amano dire qui, «è grande la metà di Zurigo e due volte più divertente». Si tratta di un’area vasta oltre duecento ettari e recitantata da un muro alla periferia sud-est della città, adibita a camposanto nel 1874. Oggi vi abitano in pace oltre due milioni di trapassati, in campi ordinatamente attraversati da un reticolo ortogonale di strade, dove transitano a rispettosa velocità automobili e pullmini con i turisti. Il tutto ha l’aspetto di un gigantesco parco, dove in autunno i cacciatori sparano a lepri, pernici e fagiani che qui trovano un ambiente ideale per riprodursi. Tra l’ingresso principale e la chiesa commemorativa in tipico stile Jügendstil il visitatore viene accolto dall’abbraccio semicircolare delle tombe onorarie, dove riposano un migliaio di notabili e personalità che hanno fatto grande Vienna.


Per un triestino passeggiare fra queste tombe e monumenti funerari è un po’ come visitare un’antica tenuta di famiglia, dove si trovano le vestigia di illustri, lontani parenti. Come Paul Kupelwieser Brioni, il fabbricante di cannoni che nel 1893 si comprò per 75 mila fiorini le omonime isole che tutti amiamo. Oppure Karl Ritter von Ghega, il cavaliere delle Alpi, l’uomo che portò i treni da Trieste a Vienna. Eccoli qui, che ci guardano severi e paterni dall’aldilà. E poi, disseminati fra le lapidi più ordinarie, spuntano un’infilata di Gross, Mayer, Weiss, Schmidt, a ricordare legami assai più profondi e radicati di quelli con i grandi nomi, gente che in qualche modo appartiene ai triestini e alla quale in qualche modo il triestino appartiene. Insomma, al Zentralfriedhof si respira aria di casa, nonostante la presenza solenne di personaggi come Beethoven, Brahms, Gluk, Schubert.


IL DANUBIO CHE NON C’È
. Ecco, questo terreno di memoria comune è il punto di partenza. Dopodiché rientriamo nel cuore di Vienna, quel nucleo dove è cresciuta la città ad anelli, come nel tronco di albero: il Ring, dove c’erano le mura fortificate, il Gürtel, dove c’era la linea del vallo, e poi la periferia al di là del Gürtel e del canale del Danubio. Una serie di passaggi successivi che stanno spingendo la città del futuro verso nord-est, al di là del Neu Donau, il Nuovo Danubio, perché va ricordato che il bel Danubio blu a Vienna oggi è ridotto a poco più di un misero rivoletto, il Donaukanal, mentre a farla da padrone è il nuovo corso, quello creato negli anni Ottanta sull’area dell’inondazione, al tempo in cui Vienna cominciava a scrollarsi di dosso un lungo torpore.


Tanto che in un impeto di gioia di vivere - di cui viennesi, come del resto i triestini, non comunque difettano - in mezzo al nuovo Danubio fu realizzata una spiaggia artificiale lunga dodici chilometri con piste ciclabili, locali di ristoro, stabilimenti balneari con zone riservate ai nudisti e, d’inverno quando nevica, una pista per lo sci da fondo. Ci sono anche i barbecue per grigliate all’aperto, si prenotano sul sito del Comune e l’utilizzo è gratuito. È la Donauinsel, iniziata nel 1975 e inaugurata nel 1988: un esempio di come costruire dal nulla qualcosa di cui poter godere per il tempo libero e la ricreazione, senza rovinare l’ambiente e anzi portando ricchezza al territorio. I viennesi amano questo litorale fasullo, loro che il mare non ce l’hanno. E a metà del nuovo fiume ecco l’isola dove svettano le vetrate spaziali di Onu City, là dove si combattono droga e proliferazione nucleare sui fronti dell’intero pianeta. Anche di questo vanno orgogliosi i viennesi, che considerano la cittdella dell’Onu una specie di testa di ponte verso l’internazionalizzazione, cosa che a Trieste - Expo insegna - non si è ancora riusciti a fare con la città della scienza.


VITA QUOTIDIANA.
Come si vive a Vienna? Bene, senza dubbio. Chiedete in giro, sarà molto difficile trovare un viennese, per quanto brontolone, che non risponda così alla domanda su come se la passa. I motivi, anche qui, sono legati all’antico. Quello che oggi chiamiamo «welfare» a Vienna lo conobbero già nell’intervallo fra le due guerre, quando in soli 12 anni, fra il 1919 e il 1933, l’amministrazione cittadina socialdemocratica varò una serie di riforme in campo assistenziale, scolastico e medico costruendo case popolari dove trovarono decoroso alloggio 220 mila persone, un ottavo dell’intera popolazione. È questa la vera Vienna Rossa, con il suo monumento, il Karl-Marx-Hof, l'abitazione operaia in forma di superblocco che accoglie al suo interno una ricca gamma di servizi collettivi: asili, scuole, cucine, lavanderie, laboratori artigianali, spazi verdi.


Tutto questo è rimasto non solo nel tessuto urbano e nella storia, ma anche nell’anima dei viennesi, che hanno un’idea molto precisa di cosa si intende quando si parla di assistenza e di stato sociale, il cui attuale assetto si deve a Bruno Kreisky (1911-1990), primo ministro a capo di varie coalizioni fra il 1970 e il 1983. Così oggi a Vienna uno studente universitario spende assai poco per pagarsi l’affitto di un appartamento, le famiglie possono figliare senza temere salassi e quando i giornali dicono che la disoccupazione si avvicina al 4 per cento (nella nostra regione siamo al 3) tutti parlano di disastro economico.

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