Viaggio tra le parrocchie di Trieste ai tempi del Covid, fra offerte azzerate, solidarietà e preghiere "social"

TRIESTE Le messe torneranno a essere celebrate in presenza dei fedeli a partire dal prossimo lunedì, 18 maggio, ma questi due mesi di riti a porte chiuse hanno significato un duro colpo per le parrocchie della Diocesi di Trieste, in particolare per quelle più povere, rimaste senza il sostegno delle offerte. Ma questo, spiegano i sacerdoti, non ha impedito alla Chiesa di tener fede alla sua missione di sostegno ai bisognosi.
L’economo della Diocesi, don Pier Emilio Salvadè, delinea un quadro difficile: «Questa epidemia ha portato molte parrocchie vicino al tracollo. Le persone non fanno più celebrare messe per i propri defunti, perché ovviamente sono tutte a porte chiuse». Ma il problema principale è il venir meno delle offerte che un volontario o il sagrestano raccoglie passando fra i fedeli in occasione della messa: «Le offerte del popolo servono alle varie necessità della parrocchia - spiega Salvadè - dal sostegno ai poveri alle spese di riscaldamento. E tutto questo è venuto a mancare».
Don Roberto Rosa guida la parrocchia di San Giacomo, una delle più popolose della città, e racconta: «La parrocchia vive soprattutto delle offerte dei fedeli, con il venir meno delle celebrazioni abbiamo registrato un grosso calo. Anche l’oratorio è chiuso, facendo venir meno ulteriori introiti. C’è stata però anche la sensibilità di alcuni fedeli che hanno portato liberamente delle offerte al parroco, sapendo che c’è bisogno di aiutare le persone in difficoltà che si rivolgono alla Chiesa». Un’attività, questa, che non si è mai fermata a dispetto delle difficoltà economiche: «Se qualcuno si rivolge alla Chiesa, la Chiesa dà, e lo fa subito, senza trafile burocratiche».
Nella parrocchia di Sant’Andrea e Santa Rita, in via Locchi, troviamo invece don Samuele Cecotti: «Le parrocchie, ad eccezione di quelle che hanno un patrimonio immobiliare da cui trarre sostentamento, vivono di due tipologie di offerte, quelle che si accolgono a messa, o in altre circostanze liturgiche, e le offerte per l’utilizzo degli spazi commerciali. Ad esempio l’associazione che si trova a giocare la tombola e lascia un’offerta al parroco». Ora si sono entrambe «azzerate»: «Ci sono sacerdoti che hanno rinunciato a parte della loro distribuzione, perché oltre a tutte le spese molte parrocchie hanno anche uno o due dipendenti. Per carità, non moriamo di fame e non siamo certo la categoria più colpita, ci sono persone che perdono il lavoro. Però è giusto che ognuno faccia la propria parte».
La chiesa di San Bartolomeo a Barcola è l’epicentro della parrocchia di don Antonio Greco: «Il problema economico c’è - conferma - ma confidiamo nella generosità dei fedeli, che restano sensibili al tema. Certo ci sono state delle difficoltà, anche perché i poveri continuano a venire a bussare alle nostre porte, soprattutto in un periodo in cui le mense sono chiuse. Si accontentano anche di poco, ma per loro è questione di sussistenza». Inoltre, prosegue, «la parrocchia è un punto di riferimento per tante persone, anche in questo periodo. Oltre alle bollette, bisogna quindi provvedere a tenere le strutture pulite e in ordine».
Nell’antica chiesa di Muggia Vecchia, Santa Maria Assunta, ecco infine don Andrea Destradi, responsabile di un importante patrimonio storico e archeologico: «Ci sono grandi costi di gestione e nessuna rendita, perché non abbiamo proprietà che diano introiti - spiega -. Il parco archeologico è tutto a carico della parrocchia. Le entrate in questo periodo si sono azzerate, tanto più che le celebrazioni pasquali sono le più partecipate dell’anno in tempi normali, mentre le spese sono rimaste. Abbiamo dovuto aiutare delle famiglie in difficoltà, e a nessuno è stato detto “no”». Don Destradi riporta però l’esempio di qualche parrocchiano «che si è fatto vivo chiedendo l’iban per fare una donazione. Altri mi dicono di averle tenute da parte per quando riapriremo le messe». La gente, conclude, «è sensibile, si sente parte di un corpo, di una comunità. Al resto penserà la Provvidenza».
E in effetti degli aiuti sono in arrivo, spiega ancora l’economo diocesano: «La Cei ha stanziato dei fondi che verranno distribuiti alle Diocesi, perché vengano dati alle parrocchie in difficoltà. Assieme all’arcivescovo Giampaolo Crepaldi stiamo studiando come impiegare questi contributi. Prima alle famiglie, poi alle parrocchie e agli enti collegati».
Nel frattempo ci si è dovuti adattare al nuovo mondo. C’è chi ha preparato un tavolo della solidarietà in chiesa, in cui i fedeli possono lasciare beni di conforto da dare ai bisognosi. C’è chi ha organizzato consegne della spesa a domicilio per anziani e persone in difficoltà, magari anche con l’aiuto della vicina stazione dei Carabinieri. E poi c’è stato tanto impegno per continuare a tener viva la comunità cristiana, attraverso i social network, le messe in diretta e tutta una serie di strumentazioni tecnologiche che magari non viene istintivo, di primo acchito, abbinare alla Chiesa, che invece con l’arrivo della pandemia ha saputo far di necessità virtù. Così è andata la vita delle parrocchie della Diocesi di Trieste in questi due mesi di isolamento.
A dispetto delle difficoltà economiche, le attività non si sono mai fermate. Racconta don Ettore Malnati, vicario diocesano del vescovo e parroco di Nostra Signora della Provvidenza e di Sion: «In un certo senso abbiamo scoperto il lato positivo dei social. Abbiamo spesso detto che non erano uno strumento per creare amicizie, che rendevano più soli. Si sono invece rivelati uno strumento per non sentirsi soli. Noi abbiamo 370 ragazzi che nella catechesi hanno creato gruppi di amici. Attraverso i social hanno continuato a sentirsi, hanno fatto eco a dei temi che avevano trattato insieme, anche in famiglia». Nel complesso, dice Malnati, «i rapporti nella nostra Diocesi non si sono smarriti»: «I sacerdoti hanno fatto delle messe in streaming, non è come essere insieme ma è comunque stato importante. L’arcivescovo ha preparato per noi consacrati, ogni settimana, un’interpellanza, una riflessione, un suggerimento. Ha celebrato ogni domenica l’eucarestia a San Giusto in diretta». Nei limiti del possibile, c’è stata anche la presenza fisica: «Seguendo le prescrizioni abbiamo comunque dato la comunione personalmente a chi la desiderava».
Ma l’attività principale della Diocesi è stata la solidarietà: «Abbiamo valorizzato i gruppi caritativi, anche al di là del prezioso lavoro della Caritas, abbiamo portato le borse della spesa alle persone meno fortunate e sole». A San Giacomo don Roberto Rosa ha affrontato diverse situazioni di questo genere: «La nostra chiesa ha organizzato una continua raccolta di beni alimentari. C’è un tavolo, che chiamiamo “tavolo della carità”, dove i fedeli che vengono in chiesa possono lasciare qualcosa. Abbiamo raccolto molto così». Don Rosa ora guarda al futuro: «Mi preoccupano i prossimi mesi, tante persone perderanno il lavoro, tanti piccoli negozi saranno in difficoltà. Portare la borsa della spesa va bene, ma è guadagnandosi il pane che l’uomo ottiene la sua dignità, insegna Papa Francesco. Nei prossimi mesi la comunità cristiana avrà un grande ruolo, presso tutta la società».
L’economo diocesano don Pier Emilio Salvadè sottolinea il ruolo avuto dalle istituzioni della Chiesa nel periodo di isolamento: «La Caritas è arrivata a dare anche 1500 pasti al giorno, un’attività incessante a cui si affianca tutto il lavoro fatto dalle parrocchie. Alcune di queste si sono rivolte anche alla stazione dei Carabinieri per avere aiuto nella consegna porta a porta. In questo la Chiesa risponde al suo ruolo di sentinella del popolo, credente e non credente, con le porte e il cuore aperto». —
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