Viaggio tra i rider di Trieste increduli ai contratti in arrivo: «Davvero ci daranno uno stipendio fisso?»
TRIESTE «Ci devono assumere? Quindi avremo uno stipendio fisso e la malattia pagata?». Sono increduli i rider che ogni giorno stazionano in piazza Goldoni a Trieste. Nessuno, prima di ieri mattina, li aveva informati della decisione della procura di Milano di obbligare le grandi società del delivery, Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo, a regolarizzare le migliaia di loro fattorini. Addetti che,d’ora in poi, andranno trattati come «lavoratori coordinati e continuativi», e non più «lavoratori autonomi e occasionali».
Nel capoluogo regionale il piccolo “esercito” di rider è formato per lo più da giovani stranieri che capiscono a stento l’italiano e che, solo lavorando dalla mattina alla sera, riescono a fine mese a portarsi a casa una piccola paga. Af oggi gli addetti alle consegne per conto delle piattaforme sono almeno un centinaio, secondo stime inevitabilmente approssimative visto che non esiste un censimento ufficiale del fenomeno, mentre altri fattorini lavorano direttamente per i locali (è il caso dei più tradizionali portapizze). Il loro guadagno dipende dal numero delle consegne e dai chilometri da percorrere per raggiungere il cliente. Chi riesce a guadagnare oltre 5 mila euro all’anno con questo lavoro è costretto ad aprire una partita iva.
La presenza dei rider ormai è diventata più che abituale a Trieste. Dalle 12 alle 14 e poi dalle 18 alle 22 girando per la città è impossibile non imbattersi in uno di loro: rigorosamente in bici – sono pochi quelli che si muovono in scooter – e con la grande borsa termica colorata sistemata sul portapacchi. I ragazzi stranieri che lavorano per le piattaforme di delivery(ieri all’ora di pranzo in piazza Goldoni ce n’era una quindicina), non sanno neppure cosa sia un sindacato. Barkhtiar è uno dei pochi che accetta di parlare. Arriva dall’Afghanistan, ha 25 anni ed è a Trieste dal 2016. Parla abbastanza bene l’italiano. La notizia lo rincuora, ma allo stesso tempo lo preoccupa. «Temo che se saranno obbligati ad assumere – ipotizza – le società faranno inevitabilmente delle scelte, lasciando senza lavoro molti di noi, e obbligando chi resterà ad un orario fisso di disponibilità e ritmi incredibili».
Il giovane racconta quanto sia difficile riuscire a portar a casa a fine mese uno stipendio decente e quanto sia dura mantenere il ritmo: «Ieri sera sono rimasto ad attendere in questa piazza per due ore, mi hanno affidato tre consegne, e alla fine ho guadagnato 15 euro». «Noi veniamo pagati anche in base alla distanza della consegna cioè ai chilometri che percorriamo, ma non si tiene conto che Trieste è una città particolare con salite faticosissime. Portare un panino in Salita di Gretta non è come farlo sulle Rive. Per questo servirebbe una paga fissa che equilibri queste differenze».
Nelle passate settimane, quando Trieste è stata sferzata da gelo e Bora, il lavoro per i rider è stato durissimo: «Io pedalavo e piangevo dal freddo e dal dolore, – spiega Barkhtiar –. Sono piccolo e magro e il vento mi portava via: questa fatica è giusto venga riconosciuta».
«È chiaro che non potranno assumerci tutti - dichiara Mohamed, 34 anni, pakistano, in Italia dallo scorso novembre - per cui gli ultimi arrivati probabilmente resteranno fuori. Sono in pochi a guadagnare di più, quelli che lavorano da tanto tempo, ad altri capita di attendere per ore una consegna». Bala viene dal Mali, ha 40 anni, fa il rider dallo scorso mese di marzo, parla bene l’inglese. «Da anni parlano di regolarizzare i rider, – sostiene – sono sicuro che anche questa volta, alle fine, le grandi società riusciranno a trovare il modo per non farci il contratto: sono molto forti, hanno bravi avvocati». —
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