Viaggio nel santuario delle balene, ricchezza del Mediterraneo

A bordo della “Pelagos”, la barca dell’Istituto Tethys che da venticinque anni opera tra il Mar Ligure e la Corsica per la tutela dei cetacei 

SANREMO. Laggiù soffia. Il dorso del capodoglio appare lucido e scuro sulla superficie liscia del mare, ci dà il tempo di avvicinarci fino a pochi metri di distanza, e si lascia fotografare con calma, prima di decidere che è tempo di tornare giù alzando la sua enorme coda come per un saluto un po’ irriverente. L’idrofono di bordo intercetta di nuovo i suoi schiocchi, i segnali lanciati dal biosonar di questo gigante del mare che adesso sta scendendo a mille metri di profondità. Le cuffie dell’idrofono rimandano i suoi ”click” con un suono che ricorda il rimbalzo di una pallina, mentre sullo schermo del computer ogni verso diventa il picco di un diagramma ad altezza variabile. Prima o poi - potrebbe passare anche un’ora - il capodoglio smetterà di “cliccare”, e il silenzio sarà il segnale che sta tornando in superficie a respirare. «È come dare la caccia a Ottobre Rosso», scherza Roberto Raineri, 48 anni, skipper del “Pelagos”, il motorsailer a due alberi con il quale stiamo inseguendo la balena. Mezz’ora più tardi gli altoparlanti di bordo collegati all’idrofono smettono di colpo di diffondere il ticchettio in arrivo dall’abisso, tempo 10-15 minuti e vedremo da qualche parte intorno alla barca il soffio del capodoglio. E infatti eccolo là, a ore dieci, pronto a farsi ancora osservare e fotografare.

Non siamo al largo delle Azzorre, né in Norvegia e nemmeno in Nuova Zelanda: ci troviamo sette miglia al largo di Sanremo, dal ponte del “Pelagos” distinguo nettamente non solo la città ma persino il teatro Ariston dove ogni anno si svolge il popolare Festival della canzone italiana. E il fatto che adesso, molto vicino alla prua della barca ci sia un cetaceo lungo sedici metri e pesante cinquanta tonnellate non è un’eccezione: nei prossimi tre giorni di mare avvisteremo almeno altri dieci capodogli, quattro balenottere comuni - il secondo animale più grande del mondo dopo la balenottera azzurra -, decine di stenelle, un branco di grampi più una varia fauna marina composta da pesci luna, squali, tartarughe e un pesce spada. Questa, infatti, è la porta d’entrata al Santuario Pelagos, 90 mila metri quadrati di mare compresi tra costa ligure, Toscana, costa francese e Sardegna settentrionale, il paradiso mediterraneo dei cetacei che inizia dove la scarpata continentale digrada dai 200 metri dei canyon sommersi di Arma di Taggia e Bordighera fino agli oltre duemila metri di profondità della zona pelagica.

Qui un felice gioco di venti e correnti rimescolano acqua calda e fredda creando una delle maggiori aree di produttività primaria del Mare Nostrum, una biodiversità così elevata a tutti i livelli della catena trofica - dal fitoplancont al pesce spada - da fare di quest’area marina un pascolo squisito per almeno otto specie di cetacei. Ed è qui che l’Istituto Tethys - ente di ricerca privato creato da Giuseppe Notarbartolo di Sciara (info: tel. 0272001947, www.tethys.org) - partendo dallo scalo Portosole di Sanremo - un marina dotato dei migliori servizi dove la sua barca è ospitata dall’inizio del progetto - da venticinque anni compie ricerche e campagne a protezione dei mammiferi marini. Fino a ottenere, nel 1999, che Italia, Francia e Principato di Monaco firmassero un accordo di tutela dei mammiferi marini con l’istituzione del Santuario Pelagos.

Ogni anno, da maggio a settembre, l’Istituto Tethys organizza crociere settimanali di studio e di ricerca con l’apporto di volontari - sia studenti che semplici appassionati in arrivo da tutto il mondo - imbarcati sul “Pelagos” e guidati da uno staff di ricercatori e biologi. È il progetto Cetacean Sanctuary Research (Csr), studio a lungo termine sull’ecologia e la conservazione dei cetacei in particolare del Mar Ligure attuato ultizzando sofisticate tecniche di ricerca applicate sul campo, dai monitoraggi visivi e acustici, alla foto-identificazione, alla fotogrammetria con l’uso di bincoli con puntatore laser fino all’analisi del comportamento in superficie e in immersione tramite applicazione (a ventosa) di un “Time and Depth Recorder” sugli animali. Un lavoro che ha permesso all’Istituo Tethys di raccogliere e archiviare in data base migliaia di dati, compresa l’identificazione tramite schede individuali di cinquecento balenottere comuni e un centinaio di capodogli.

«Ma il risultato più importante - spiega Elisa Remonato, 27 anni, naturalista, uno dei responsabili della raccolta dati a bordo del “Pelagos” - è l’aver dimostrato attraverso analisi genetiche che le popolazioni di cetacei del Meditterraneo sono endemiche: non provegono dall’Atlantico come si pensava, ma tutto il loro ciclo vitale si svolge qui, nel Mediterraneo». Ma l’istituzione del Santuario e 25 anni di ricerche non bastano a mettere al riparo i cetacei dai rischi che corrono tutti i mammiferi marini: collisioni con navi e imbarcazioni, inquinamento chimico e acustico, cambiamenti climatici, pesca intensiva e le famigerate spadare - le reti da posta derivanti vietate dall’Onu e dell’Ue ma che continuano a essere usate da pescatori senza scrupoli - sono i principali nemici dei cetacei. «Nonostante il Santuario Pelagos si stato creato per tutelare i cetacei dalle minacce derivate dalle varie attività dell’uomo - spiega Sabina Airoldi, direttore del Csr -, a dodici anni dalla sua istituzione il loro stato di conservazione non è affatto migliorato». «In attesa - continua Airoldi - che gli organi deputati alla gestione del Santuario trasformino un accordo scritto sulla carta in un realtà, l’Istituto Tethys continua ad affettuare monitoraggi per avere un quadro chiaro dei problemi esistenti e dell’impatto che le diverse pressioni antropiche hanno sulle popolazioni dei cetacei, oltre a portare avanti attività educative e di informazione».

Mentre il “Pelagos” passa la notte alla cappa al largo della Corsica, proprio al centro della zona pelagica del Santuario, vengo svegliato per il mio turno di guardia. Sono quasi le due, una luna piena lancia scaglie d’argento sulla superficie del mare, e un silenzio assoluto circonda la barca. Con il binocolo scruto la mia porzione di orizzonte, tenendo d’occhio la luce di un’imbarcazione sufficientemente lontana per non dare pensiero. Marie, studentessa francese, si alterna fra il radar di bordo e l’idrofono mentre Katrin, tedesca, controlla l’altra parte dell’emisfero. Ad un tratto, vicinissmo, sentiamo il soffio di una balenottera comune. È salita da acque profonde oltre duemila metri a vedere un po’ chi c’è quassù a quest’ora di notte. Nel buio non riusciamo a vederla, ma sentiamo distintamente il suo respiro. Dura qualche minuto, sempre più vicina, finché di colpo torna il silenzio. Forse rassicurata, la balena è tornata giù nel mare profondo.

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