Via Vittorio Veneto accoglie in silenzio «Non c’è nulla di cui vergognarsi»

Tutti possono rivolgersi al servizio nella palazzina che è gratuito e anonimo, anche i minorenni purché accompagnati da un genitore

È nato nel 1929, in via Mazzini: si chiamava centro dermoceltico. L’Aids era ancora di là da venire al pari della Legge Merlin, quella che, pure a Gorizia, fece chiudere i bordelli per il disappunto di molti. Rispetto ad oggi, la sessualità di allora sembra un’altra cosa. In compenso, i bimbi nascono sempre alla stessa maniera (o quasi). E anche le paure che alla sessualità si accompagnano forse sono rimaste le stesse.

«Le malattie veneree sono le uniche a sottendere un giudizio morale – afferma Gianmichele Moise –. Gli utenti del nostro servizio giungono da noi con timore, vergogna, scarsa conoscenza». Per questo è fondamentale l’approccio: è obbligatoria la massima riservatezza, ovvio, trattandosi di dati ultrasensibili. Ogni paziente, insomma, viene trattato con guanti di velluto. Quello del Centro di malattie sessualmente trasmissibili è un servizio gratuito e anonimo. Tutti possono accedervi (anche senza impegnativa) dai lunedì ai venerdì dalle 8 alle 14. I minorenni possono usufruire del servizio soltanto se accompagnati da un genitore mentre la consulenza telefonica o via posta elettronica può essere praticata anche agli under 18. A tal proposito, i numeri del Centro sono 0481.592819 e 0481.592837, la mail è mst@aas2.sanita.fvg.it. Da anni sito in via Vittorio Veneto, il Centro di malattie sessualmente trasmissibili fa parte di una rete italiana di sorveglianza coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità: di centri così ce ne sono dodici in tutta Italia; nel Triveneto, oltre a quello di Gorizia c’è quello di Trento. Moise ne è il responsabile dall’85, l’anno in cui moriva Rock Hudson, tra le prime vittime illustri dell’Aids.

Senza dubbio è uno dei vanti della sanità goriziana anche se, occupandosi di una materia che è ancora scottante, i suoi operatori preferiscono mantenere un profilo basso, nel rispetto degli utenti. Insomma, ai proclami trionfalistici, ai facili entusiasmi Moise e il suo staff preferiscono il silenzio e la dignità del lavoro. «Mentre negli anni ’80 si accompagnavano i pazienti alla morte con grandi difficoltà per gli operatori – dice Moise – oggi è l’accogliere il disagio della malattia sessualmente trasmessa curandola e puntando sulla sdrammatizzazione della stessa. Credo sia questo l’atteggiamento che dobbiamo avere evitando qualsiasi forma di giudizio ma limitandoci sempre all’ascolto attivo all’interno dell’approccio comunicativo con la tecnica del counseling in cui tutti noi siamo stati formati». —





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