Venti di secessione a Sarajevo. Dodik: via gli accordi di Dayton
BELGRADO Una nuova acutissima crisi, l’ennesima, che rischia di complicare ancora di più il presente e il futuro della Bosnia-Erzegovina, indebolendo un Paese già sofferente dove si rinnova persino la minaccia dell’arma finale: la secessione. La Bosnia è stata scossa dagli annunci della dirigenza politica della Republika Srpska (Rs), l’entità dei serbi di Bosnia – la seconda è la Federazione bosgnacco-croata –: «i rappresentanti serbo-bosniaci» boicotteranno i lavori delle istituzioni centrali «non partecipando alle decisioni», ha detto la presidentessa della Rs, Zeljka Cvijanovic. L’effetto? L’inceppamento delle autorità nazionali centrali di governo, che possono di fatto operare solo con il consenso di tutti e tre i maggiori gruppi etnici. Sarà interruzione a oltranza e «se non ci si metterà d’accordo questo Paese non avrà una chance» di sopravvivenza, ha ammonito il membro serbo della presidenza tripartita centrale, il nazionalista Milorad Dodik.
Ma cosa vogliono, i serbo-bosniaci? E perché questa nuova crisi, dopo che le acque sembravano essersi calmate con il recente ok alla formazione del governo centrale? Vogliono, ha specificato la Rs, una radicale immediata riforma della Corte costituzionale, nata con gli accordi di Dayton e costituita da due giudici croati, due serbi, due bosgnacchi. E da tre giudici internazionali. Quegli stranieri – nel mirino di Dodik da anni - devono andarsene: avrebbero troppe volte sentenziato a danno della Rs, dice Banja Luka, e Dodik si è spinto a definirla un «tribunale d’occupazione».
La miccia è stata accesa quando la Consulta ha emesso un giudizio esplosivo stabilendo l’illegittimità di alcune parti di una legge serbo-bosniaca sulle terre agricole pubbliche nella Rs, che per Banja Luka dovrebbero divenire automaticamente proprietà dell’entità serbo-bosniaca e non dello Stato centrale. A contestarla era stato, tra gli altri, il vescovo cattolico di Banja Luka, Franko Komarica, secondo il quale le norme consentirebbero anche la “sottrazione” di terreni statali in passato in uso a persone che oggi vivono all’estero, in testa profughi musulmani e croati, e «si troveranno a perdere le loro proprietà in una notte», ha riportato la Tv N1. Quelle norme non vanno bene, ha confermato la Corte costituzionale, aggiungendo che quei terreni agricoli sono di pertinenza dello Stato centrale, non di una delle due entità.
Il giudizio è stato accolto con rabbia in particolare da Dodik, che ha parlato di «Corte politica» e di sentenza che mina «l’organizzazione territoriale» del Paese. Da qui la decisione del boicottaggio delle istituzioni centrali. Boicottaggio violentemente criticato da moltissimi, in Bosnia, comrpesi l’ambasciata Usa e l’Alto rappresentante della comunità internazionale, che hanno chiesto rispetto per le decisioni della Corte. Un’entità come la Rs non può mutare le «decisioni della Consulta» con minacce di sedizione, ha attaccato il membro croato della presidenza, Zeljko Komsić. «Chi annuncia il blocco delle istituzioni mette a rischio la pace e la stabilità», ha rincarato il membro bosgnacco, Sefik Dzaferović parlando di duro «colpo» inferto alla tenuta della Bosnia. Tenuta che è realmente a rischio, ha confermato ieri Dodik: il leader serbo-bosniaco ha evocato apertamente persino la secessione, che «un giorno avverrà», aggiungendo anche che gli accordi di pace di Dayton sarebbero decaduti. Se la crisi non sarà risolta accogliendo l’ultimatum serbo-bosniaco sui giudici internazionali, ha aggiunto, allora la Rs, che già avrebbe «tutti gli elementi di uno Stato, darà vita a «suoi organi indipendenti». E persino a «un esercito serbo-bosniaco», ha concluso. —
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