Vent’anni d’attesa sfibrante tra fondi statali “fantasma”, cambi di governo e ricorsi
La legge Obiettivo l’aveva inserita nel 2001 tra le opere pubbliche strategiche per l’Italia. La Piattaforma logistica è cosa fatta, ma sono serviti vent’anni di attesa tra fondi statali rimandati di governo in governo, apparizione e sparizione di grandi società, procedure burocratiche snervanti e gare d’appalto seguite dalla consueta mitragliata di ricorsi.
Il momento del taglio del nastro è arrivato: pur fra le solite italiche lungaggini, Roma ha messo bene o male cento milioni su un’infrastruttura che ne costa 130, ma senza l’iniziativa degli imprenditori locali Francesco Parisi e Vittorio Petrucco, al posto dei piazzali nuovi di zecca ci sarebbe ancora un tratto di costa inutilizzabile, incuneato tra Scalo legnami e Ferriera. Di Piattaforma logistica si parla dagli anni Ottanta, come d’altronde della riconversione della Ferriera e del futuribile Molo VIII. Ora le premesse ci sono e la speranza è che entro cinque anni o poco più si possa vedere in funzione il primo lotto del nuovo molo container del porto di Trieste.
Piattaforma o “tubone”
Oggi nessuno mette in discussione le opportunità dello sviluppo dello scalo, ma all’inizio dei Duemila qualcuno riteneva che con i soldi dello Stato si sarebbe dovuto realizzare il surreale “bucone”: 17 chilometri di galleria sotterranea per andare in auto dal centro città al Carso. Non ci sarebbero state risorse per entrambi, ma fortunatamente il progetto viene archiviato. Nel dibattito di allora, le priorità diventano le stesse di adesso: Piattaforma, riqualificazione del Porto vecchio e bonifica dell’area ex Aquila.
Cipe croce e delizia
Nel 2003 l’Autorità portuale di Marina Monassi dispone di una cinquantina di milioni per l’opera, che ne vale però 270: la legge Obiettivo ne aveva promessi addirittura seicento, includendo trasformazione della Ferriera e collegamenti ferroviari. In anni di vacche grasse, nessun politico o manager poneva il tema dei privati: sembrava che tutto dovesse dipendere dalla mano pubblica, senza che fosse peraltro mai affrontato il nodo vero e cioè come impiegare poi la banchina. Trieste attende: le riunioni del Cipe si susseguono per anni, senza che un solo euro venga destinato.
«Una barzelletta»
Alla fine del 2005, il Cipe promette 205 milioni, ma l’anno successivo ne arrivano solo 32: più quelli dell’Ap fanno ottanta e non bastano per partire. L’allora governatore Riccardo Illy sbotta: «Una barzelletta». Nel frattempo al vertice del Porto arriva Claudio Boniciolli, che scompone l’opera in due lotti per cominciare i lavori con un budget inferiore. Il presidente annuncia l’interesse di coreani, cinesi, russi, giapponesi ed europei. Spunta pure un’ipotesi Allianz, ma passano gli anni e si ritirano tutti, dopo valutazioni negative sulle prospettive del porto.
Il bluff di pubblico e privato
Nel 2009 il gruppo Gavio si dice pronto a investire cento milioni: promessa ribadita negli anni successivi, ma mai vicina a concretizzarsi. Solo annunci anche per il “superporto” da un miliardo di Unicredit e Maersk. Il pubblico fa anche peggio: nello stesso anno, il ministro Matteoli conferma i 279 milioni per Trieste, ma l’opera resta puntualmente esclusa dal Cipe. Il sottosegretario Roberto Menia ridimensiona il tiro a trenta milioni: pure quelli ci metteranno anni ad arrivare. Boniciolli critica i silenzi della classe dirigente locale: «C’è una cupola che blocca lo sviluppo», dice con un attacco frontale al centrodestra camberiano, che di lì a poco si sarebbe ripreso l’Authority.
Finalmente la gara? Anche no
Siamo nel 2011. Monassi torna alla presidenza e bandisce la gara per la realizzazione del primo lotto da 132 milioni: 102 da fondi pubblici e 30 dai privati. La notizia buona è che l’anno successivo il governo Monti stanzia finalmente gli ultimi 32 milioni promessi dall’esecutivo precedente. La brutta è che i soldi arrivano dopo altri due anni e la gara va incontro a una serie di rinvii. È il 2013 quando Monassi annuncia dal palco di Comunione e liberazione che le risorse per la Piattaforma sono state accreditate: la gara parte e diventa una corsa a due tra le cordate Parisi-Icop e Samer-Mantovani. I primi pensano ai container, ma sono i secondi a ottenere l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto, puntando sui traghetti per semirimorchi.
Corsi e ricorsi
Icop e Parisi ricorrono e ottengono il ribaltamento dell’assegnazione, che passa così all’alleanza tra lo spedizioniere triestino e il costruttore friulano. Nel frattempo Monassi è sotto l’assedio delle giunte Serracchiani e Cosolini: per quattro mesi il Comitato portuale non viene convocato e il centrosinistra accusa l’Autorità di ritardare volutamente le procedure. La Ferriera registra intanto l’arrivo del cavalier Arvedi: lo stabilimento viene rilanciato e di riconversione logistica si smette di parlare. In contemporanea Icop posa la prima pietra della Piattaforma il 9 novembre 2014: le opere partono però un anno dopo, per l’assenza del placet del ministero dell’Ambiente.
La Cina e la Germania
I lavori cominciano e proseguono sotto la gestione D’Agostino, nominato commissario dell’Authority. Piattaforma logistica acquisisce il vicino Scalo legnami. I traffici a Trieste prendono a crescere a due cifre e la visita del premier Gentiloni a Pechino formalizza nel 2017 l’interesse cinese per il porto. Inizia la trattativa tra Plt e China Merchants Group, ma gli equilibri geopolitici allontanano gli asiatici. Si avvicinano i tedeschi di Hhla e l’intesa è facilitata dalla contemporanea chiusura della Ferriera, che Amburgo sosterrà finanziariamente. Dopo 7 anni, Arvedi sceglie infatti di spegnere l’area a caldo, in un’operazione supportata dai milioni erogati dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli per sostenere il nuovo piano industriale del gruppo siderurgico. Ci sono voluti 20 anii e il Molo VIII deve ancora essere progettato. —
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