Veleni in Tribunale a Trieste, il Csm punisce il pm Frezza
TRIESTE La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha condannato alla censura e al trasferimento d’ufficio alla procura di Treviso il pm triestino Federico Frezza. Al magistrato è stato contestato di aver usato, durante una conversazione con un giornalista, «toni irridenti» nei confronti del procuratore capo Carlo Mastelloni e del procuratore generale della Corte d’Appello di Trieste, accusandoli di «emanare disposizioni solo per dimostrare di esistere».
Per questo, oltre che per aver espresso giudizi offensivi sul capo della sezione locale della Dia, il tenente colonnello della Finanza Giacomo Moroso, è arrivata la misura del Csm. Il dispositivo, firmato dal presidente della Sezione disciplinare Giovanni Legnini, sostiene che Frezza avrebbe commesso un illecito disciplinare perché ha tenuto «un comportamento gravemente scorretto nei confronti di Moroso, come detto capo sezione di Trieste della Dia»: «Conversando in auto con l'assistente capo della polizia di Stato Stefano Parovel - scrive il Csm - esprimeva giudizi offensivi» nei confronti del militare, «da lui descritto come persona che non aveva mai concluso niente durante la sua permanenza in Trieste, che scriveva come un alunno della quinta elementare e col quale avrebbe preferito non continuare a lavorare».
Un altro illecito, poi, Frezza l’avrebbe commesso nei confronti del procuratore Mastelloni e dell’allora procuratore generale. Si legge ancora nel dispositivo: «Egli infatti», nel corso di una conversazione telefonica con il giornalista del Piccolo Corrado Barbacini, «usava toni irridenti all'indirizzo dei predetti, che a suo dire emanavano disposizioni solo per dimostrare di esistere e mettersi al riparo dai problemi».
Non si tratta del primo trasferimento dalla sede triestina legata a questo caso. I primi erano stati il capitano dei carabinieri Fabio Pasquariello e il capo della Mobile, Roberto Giacomelli. I due erano stati colpiti due anni fa dagli avvisi di garanzia spediti da Mastelloni con l’ipotesi di reato di rivelazioni di segreto d’ufficio, in altre parole fuga di notizie. I due militari erano stati accusati di essere degli “informatori” del cronista di giudiziaria del Piccolo Corrado Barbacini. Entrambi erano stati trasferiti a Udine. Un altro avviso era arrivato al comandante del reparto operativo dei carabinieri Antonio Garritani, poi promosso e quindi trasferito a un incarico al Servizio centrale operativo di Roma. Il quarto a essere raggiunto dagli avvisi era stato proprio Frezza, accusato di fornire notizie a Barbacini, indagato pure lui.
A svelare i contatti fra il giornalista e Frezza alcune intercettazioni telefoniche disposte dal procuratore capo e dal sostituto Antonio Miggiani. Per ragioni di competenza territoriale sugli uffici giudiziari triestini, l'avviso nei confronti di Frezza era stato firmato dalla collega Rossella Poggioli della procura di Bologna. Il caso era stato poi archiviato dal gip. Al centro della vicenda le informazioni fornite da Frezza date su diversi casi di cronaca, come un accoltellamento in via Alpi Giulie. Da subito il pm aveva dichiarato che si trattava di notizie «non coperte da segreto, in quanto già note agli indagati».
«Per esempio si parla di un sequestro già eseguito - aveva detto Frezza -. Spiegherò (ndr, alla collega di Bologna) questo aspetto che è decisivo. E spiegherò, a dimostrazione della mia condotta trasparente, anche che nel caso della donna accoltellata sono stato io in qualità di procuratore facente funzioni a inviare una nota ufficiale alla stampa».
Nel frattempo però è approdato al banco del Consiglio superiore della magistratura il plico contenente gli elementi che hanno portato alla sanzione disciplinare nei confronti del pubblico ministero triestino.
Un procedimento che è culminato in un trasferimento inaspettato, visto il ruolo di primo piano avuto dal pm Frezza nelle vicende giudiziarie degli scorsi anni in tutto il Fvg. Le indagini del procuratore Mastelloni sulle fughe di notizie dalle forze dell’ordine e dalle istituzioni triestine sono state di grande impatto sulla realtà della Giustizia triestina negli scorsi anni, e hanno modificato a fondo la geografia dei volti degli operatori della sicurezza nel territorio provinciale. Nessuno dei protagonisti della vicenda ha voluto rilasciare dichiarazioni sul clamoroso epilogo.
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