Vale oltre 723 milioni l’effetto Brexit sul “made in Fvg”. Rischi per il mobile
MILANO In primis i mobili e i coltelli. A seguire tutti gli altri settori che caratterizzano il made in Italy nel mondo. La Gran Bretagna costituisce uno dei mercati più importanti per l’export delle aziende del Friuli Venezia Giulia. Così, a seconda della piega che prenderà la Brexit, potrebbero esservi ricadute negative per l’economia del territorio. I prossimi giorni saranno decisivi in merito, con le trattative nella maggioranza che sostiene la premier Theresa May ancora in corso, ma intanto di sicuro c’è che il clima di incertezza non fa bene né sul fronte dei consumi interni, né delle strategie per le aziende regionali che puntano sul mercato britannico. Secondo quanto emerso nel corso di una a giornata informativa promossa per le imprese friulane dalla Camera di Commercio di Pordenone-Udine (tramite Promos Italia) assieme all'Agenzia delle Dogane, con la partecipazione di Ice, nel 2018 il Regno Unito è valso 723 milioni di euro per l’export regionale.
Un mercato che costituisce il quarto Paese di destinazione per l’Italia e il sesto per la regione. Secondo quanto spiegato dal direttore generale Ice, Roberto Luongo, “vi sono circa 43 mila imprese italiane che esportano in Uk e sono quasi esclusivamente imprese piccole e medie”. Quanto all'export, per il Friuli Venezia Giulia si è già registrato un piccolo calo, dai 731 milioni di export registrati nel 2017 ai 723 nel 2018. Segno che il clima di incertezza prodotto dall’esito del referendum prima e dalla difficoltà di trovare un’intesa con l’Unione europea sta già producendo ricadute negative. Lo spaccato merceologico vede in testa alle vendite nel Regno Unito i mobili che costituiscono il 40% dell’export di settore (si tratta del primo mercato per le aziende del settore e l’incidenza è risultata in crescita nell’ultimo anno). Ci sono poi i coltelli, i macchinari, gli apparecchi per uso domestico, gli articoli in materie plastiche, gli apparecchi per le telecomunicazioni, oltre ad alimentari e bevande (in particolare vino).
«Come Ice abbiamo studiato diversi scenari a seconda della modalità di uscita e in caso di no deal o uscita disordinata, l'effetto calcolato sarebbe una perdita di 4,5 miliardi di export difficilmente riassorbibili da altri mercati», ha sottolineato Luongo. Per poi ricordare che l’Ice ha studiato l’avvio di un desk di informazioni e orientamento, che sarà attivato dopo l'uscita effettiva, quindi dopo il 29 marzo. «Ice inoltre ha avviato una serie di collaborazioni sui singoli settori e coordina tutte le iniziative di promozione dei prodotti italiani in UK», ha concluso. A questo proposito va segnalato che nei mesi scorsi anche Confindustria ha dedicato uno studio alle possibili conseguenze della Brexit, rilevando impatti potenzialmente più negativi per i comparti autoveicoli, tessile e abbigliamento, macchinari, bevande e agrifood. Con quest’ultimo che, oltre ad elevate barriere tariffarie, potrebbe subire ripercussioni negative dovute anche ad un eventuale allungamento dei tempi di sdoganamento delle merci. Si stima che l’effetto netto della Brexit per l’Italia potrebbe determinare un aumento di investimenti diretti esteri pari a 26 miliardi di euro in dieci anni. —
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