“Vale” falciata tre anni fa «Impossibile perdonare»

Ricorreva ieri l’anniversario dell’investimento mortale della barista gradiscana Il padre della ragazza: «Il processo non è ancora concluso, difficile da accettarlo»
GRADISCA D’ISONZO. Tre anni. Sono trascorsi esattamente tre lunghissimi anni dalla morte di Valentina Pugliese, la 24enne barista della Fortezza travolta da un’auto pirata in pieno centro a Gradisca. E la vicenda processuale di una tragedia che aveva commosso tutto l’Isontino non può ancora dirsi conclusa. Si accinge ad approdare, infatti, all’ultimo grado di giudizio. Ha deciso di ricorrere in Cassazione contro la sua condanna Massimiliano Cesari, il 36enne di Mariano del Friuli che il 17 novembre 2014 travolse “Vale” con la propria automobile per poi darsi inizialmente alla fuga. Uno stillicidio di dolore e attesa per la famiglia Pugliese, che continua a confidare nella giustizia. L’udienza decisiva è in programma a fine mese.


«Non è facile accettare che la vicenda giudiziaria non sia ancora chiusa» commenta papà Salvatore. Nei primi due gradi l’uomo era stato ritenuto colpevole di omicidio colposo e omissione di soccorso. Per queste ragioni era stato condannato a tre anni di reclusione, al risarcimento dei danni in sede civile e alla sospensione per due anni della licenza di guida, oltre al pagamento delle spese processuali. Ma nonostante due sentenze apparentemente granitiche nei suoi confronti, Cesari – assistito dal legale Renzo Pecorella – si giocherà anche l’ultima carta, quella della Cassazione. La difesa del 36enne ha sempre contestato in sede processuale l’omessa concessione in primo grado delle attenuanti generiche, l’inammissibilità decisa dal Tribunale di Gorizia rispetto alle richieste misure alternative al carcere e del beneficio della condizionale, passando per il diniego dei giudici di sentire la madre dell’assistito come teste e per l’«eccessività della pena irrogata». Infine la difesa di Cesari ha sempre contestato anche la costituzione stessa a parte civile della famiglia Pugliese, asserendo che la stessa era stata già risarcita in sede assicurativa, riconoscendo il danno civile ma di fatto non quello morale cagionato alla famiglia Pugliese.


Sono addolorati ed esausti i genitori di Valentina, assistiti dai legali Bevilacqua e Martucci e tuttora riconoscenti all’avvocato Contini, prematuramente scomparso, che li aveva seguiti sin dalle prime battute. «Dobbiamo affrontare ancora una battaglia – commentano Salvatore e la moglie Cinzia – Che ci sarebbe stato un ricorso in Cassazione ce l’aspettavamo, ma il pensiero di dover attendere ancora per avere giustizia è frustrante e ci sta consumando. Perdonare? È impossibile, non abbiamo mai visto un segno di pentimento da chi ha prima investito nostra figlia e poi è fuggito. È come se ce l’avesse ammazzata due volte. E neppure un gesto di scuse dei suoi familiari: nulla» commentano amari papà e mamma. La prima sezione penale della Corte d’Appello di Trieste aveva confermato in blocco la condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Gorizia nei confronti di Cesari, reo di avere travolto Valentina ed essersi poi dato alla fuga come dimostrato da molteplici testimonianze. Il marianese si costituì alle forze dell’ordine il giorno dopo, indotto dalla decisione del passeggero che viaggiava con lui di presentarsi spontaneamente dai carabinieri. Valentina, invece, spirò due settimane più tardi al nosocomio di Udine per le gravissime lesioni riportate. I suoi organi vennero donati e oggi il cuore di “Vale” batte nel petto di una ragazza, Meri, napoletana come la famiglia Pugliese.


Sull’entità della condanna di Cesari nei primi due gradi di giudizio aveva in parte pesato il fatto che il processo sia stato celebrato con rito abbreviato: il che, per legge, ha permesso all’uomo di giovarsi dello sconto di un terzo della pena. Senza rito abbreviato il marianese con il vecchio ordinamento avrebbe rischiato invece dai 3 ai 10 anni di reclusione. Ma che sarebbe accaduto con la sopravvenuta introduzione del reato di omicidio stradale? Avrebbe rischiato una pena maggiore e la sospensione della patente per 30 anni.


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