«Val Rosandra, un anno per lo scempio»
TRIESTE Ha speso parole come «disgrazia», «dramma», «evento funesto». E ancora: «scempio», «devastazione» di «un piccolo paradiso terrestre conosciuto a livello internazionale» pure per la «frescura estiva» lungo il fiume garantita dalla vegetazione fino al marzo del 2012, quando la Protezione civile regione ne decise la “rasatura” adducendo com’è noto serie questioni di sicurezza idrogeologica.
Alla fine, in coda alla propria requisitoria, durata un’ora tonda, il pm Antonio Miggiani ha chiesto al giudice monocratico Marco Casavecchia quattro pene identiche a un anno di arresto e duemila euro di multa per «distruzione di habitat protetto» per gli altrettanti imputati del “processo Val Rosandra”. Uno: l’ex vicegovernatore della Regione Luca Ciriani, il «regista politico» che «non può trincerarsi dietro al fatto che non è un tecnico», colui che «ha firmato il decreto di somma urgenza» di pulizia del letto del torrente e quindi «la condanna a morte» del bosco in quanto assessore alla Protezione civile dell’amministrazione Tondo. Due: l’allora capo della stessa Protezione civile Guglielmo Berlasso, che «in mancanza di un formale responsabile del procedimento negli atti», come in questo caso, secondo «la legge sulla trasparenza amministrativa» deve risponderne in quanto «funzionario apicale».
Tre: il geometra Adriano Morettin, l’operativo della Protezione civile che «verosimilmente ha compiuto l’istruttoria» e «ha deciso l’estensione dell’intervento» fino a ben oltre il ponticello sopra il Rifugio Premuda, là dove la Val Rosandra diventa «area soggetta a sei vincoli di tutela», dal primo messo fin «dai tempi del Governo militare alleato» all’attuale di rango comunitario. Quattro: l’ingegner Cristina Trocca, altro funzionario della Protezione civile, stretto collaboratore di Berlasso e sostanziale cinghia di trasmissione operativa tra il capo e Morettin. «Morettin ha deciso, gli altri tre non hanno vigilato: c’è stato un concorso nel verificarsi dell’evento funesto», ha sostenuto il pm Miggiani nel corso della lunga udienza finita ieri sera.
Ad ascoltare il magistrato inquirente, oltre al giudice Casavecchia, gli avvocati di parte civile Marco Meloni dell’Avvocatura dello Stato in rappresentanza del ministero dell’Ambiente e Alessandro Giadrossi in patrocinio del Wwf (che hanno parlato in coda al pm, si legga il riquadro, ndr) nonché i difensori dei quattro imputati, le cui arringhe sono in programma nella prossima udienza del 15 febbraio (il 29 la sentenza dopo le ultime repliche, ndr): gli avvocati Caterina Belletti, che assiste Ciriani, Luca Ponti, che tutela sia Berlasso e Trocca, e Paolo Pacileo, che rappresenta Morettin. Il pm, com’era ampiamente nelle attese, dopo aver etichettato come «incontestabile» la «distruzione della foresta a galleria» - sia per quanto riguarda la vegetazione sia «di conseguenza» dal punto di vista faunistico, attraverso «prove tanto documentali (le foto del prima e del dopo, ndr) quanto testimoniali (gli esperti da lui citati al processo, ndr) - ha insistito in particolare sul fatto che il letto del torrente, in pratica dal ponticello in su a risalire il corso d’acqua, è «zona vincolata»: «Si tratta di fatti notori, peraltro consultabili su internet».
«Sono rimasto quasi sorpreso», ha incalzato, «della tesi difensiva secondo cui non c’è alterazione dell’habitat perché gli alberi ricrescono. Invece non è affatto detto che la foresta a galleria ci sia di nuovo fra vent’anni. Non lo dico io ma l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ndr) che prevede peraltro almeno quaranta interventi in vent’anni per una spesa di almeno 700mila euro». L’ultima accusa di Miggiani: «Il decreto di somma urgenza era illegittimo per mancanza dei presupposti giuridici di urgenza stessa. A parte la tragica alluvione del ’63, che colpì però Mattonaia e Francovec più a valle, il torrente Rosandra non è mai esondato. Era necessario pulire l’alveo? La legge dava la possibilità di convocare una Conferenza dei servizi rapida entro sette giorni, dopodiché sarebbe valso il principio del silenzio-assenso. Sicuramente qualche tecnico, un ispetto della Forestale, avrebbe risposto: “Ma siete matti?”. È andata diversamente, non so se per bieca ignoranza o per una forma di arroganza».
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