Val Rosandra, la perizia conferma lo scempio
La perizia del biologo Dario Gasparo, depositata l’altra mattina, ha confermato le ipotesi del pm Antonio Miggiani su quello che è stato definito «lo scempio della Val Rosandra». Nella relazione si parla chiaramente di deterioramento dell’habitat. Ma soprattutto della distruzione di un sito protetto. Insomma quello che è accaduto tra il 25 e il 26 marzo è stato un danno ambientale particolarmente importante appunto perché ha riguardato un ambiente di livello comunitario.
Nei prossimi giorni anche il professor Ezio Todini, docente di idrologia e costruzioni idrauliche all'Università di Bologna, l’altro perito incaricato, consegnerà la propria relazione sulla necessità e sull’opportunità di abbattere decine e decine di alberi di alto fusto, «per regolare il corso del torrente Rosandra». Assieme a loro hanno operato anche i consulenti nominati sia dalla parte civile: gli ambientalisti Livio Poldini e Bruno Greco.
L’indagine era scattata dopo un esposto inviato alla Procura dall'avvocato Alessandro Giadrossi, presidente del Wwf. Quasi tutti gli indagati hanno indicato i propri consulenti. Per esempio, il vicepresidente della Regione Luca Ciriani, difeso dall'avvocato Caterina Belletti, ha scelto i docenti patavini Mario Pividori e Paolo Semenzato. Consulenti del responsabile della protezione civile Guglielmo Berlasso sono il docente padovano Vincenzo D'Agostino e Aldo Cavani, direttore dell'Ispettorato ripartimentale foreste di Trieste e Gorizia.
Con questi esperti hanno lavorato anche quelli indicati dagli altri indagati come il sindaco e il vicesindaco di San Dorligo, Fulvia Premolin e Antonio Ghersinich. E poi ancora: il geometra Mitja Lovriha, caposervizio dell'Area ambiente del Comune di San Dorligo e i funzionari del Dipartimento della Protezione civile regionale Cristina Trocca e Adriano Morettin. Nella stessa inchiesta è finito Luca Bombardier, titolare della ditta specializzata di Arta Terme.
Agli otto indagati il pm Miggiani contesta due ipotesi di reato definite dagli articoli 733 e 734 del Codice penale. La prima prevede per chi distrugge un habitat dentro un sito protetto o lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione la pena dell'arresto fino a 18 mesi e un'ammenda non inferiore a 3mila euro.
La seconda ipotesi di reato contestata dalla Procura a politici, amministratori e tecnici che hanno agito in Val Rosandra prevede come sanzione solo una pena pecuniaria, peraltro piuttosto salata, per chi ha distrutto o deturpato le bellezze di luoghi protetti, usando ostruzioni, demolizioni, o qualsiasi altra modalità di intervento.
(c.b.)
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