Vajont, sessant’anni fa la tragedia

Il monte precipitò nel lago: quasi duemila morti sotto un muro di acqua e fango che scavalcò la diga
Marco Ballico

«Pochi istanti. E duemila persone morirono in una guerra che non seppero di avere combattuta».

Sono le ultime parole di “Vajont senza fine”, il libro di Mario Passi, inviato de L’Unità a raccontare l’immane tragedia annunciata. Sessant'anni dopo, con la visita del Presidente Sergio Mattarella, oggi sarà il giorno del ricordo di una data simbolo dell’incoscienza, dell’incompetenza, dell’avidità dell’uomo. Era il 9 ottobre 1963. Poche settimane prima Martin Luther King aveva pronunciato il suo "I have a dream", l’Italia viveva il suo boom, Antonio Segni era il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone il presidente del Consiglio, la Regione Friuli Venezia Giulia era appena nata.

Quattro minuti sono il tempo breve concesso agli abitanti di Longarone e della valle del Piave per mettersi in salvo. Alle 22.39, poco dopo la fine di un Real Madrid-Rangers Glasgow di coppa dei Campioni visto da tanti in tv al bar del paese, una frana stimata in 260 milioni di metri cubi si stacca dal monte Toc (che in friulano significa “marcio”) e precipita a 100 chilometri l’ora nel lago artificiale alle spalle della diga. Quella diga che alla gente non piaceva per niente. Un’enorme onda di acqua e fango, 250 metri di altezza, si abbatte al confine tra Fvg e Veneto, distrugge Longarone, Pirago, Maè, Rivalta, Villanova, Faè, Codissago, Castellavazzo; un’altra parte sale la valle, colpisce Erto e Casso e altri piccoli borghi. «Scrivo da un paese che non esiste più: spazzato in pochi istanti da una gigantesca valanga d'acqua, massi e terra piombata dalla diga del Vajont» è il memorabile incipit poche ore dopo di Giampaolo Pansa, giovane inviato de La Stampa.

Una collega di Passi e Pansa, Tina Merlin, pure lei al lavoro per L’Unità, corrispondente da Belluno, è la voce inascoltata della catastrofe. È lei che mette in luce il potere della Sade, società elettrica fondata da Giuseppe Volpi di Misurata che nel 1957avvia i lavori per la costruzione della diga nella forra scavata dal torrente Vajont, affluente del Piave. Già negli anni Cinquanta Merlin aveva descritto la prepotenza della Sade nelle zone di interesse montano, l’esproprio delle terre dei contadini costretti ad andarsene e la messa in sicurezza dei paesi dell’area dolomitica del Veneto. Parla con i montanari. Si accorge del pericolo. E lo scrive, articolo dopo articolo. Fino a andare a processo nel 1959 per «diffusione di notizie false e tendenziose» (un anno dopo sarebbe stata assolta dal tribunale di Milano: il fatto non costituiva reato). «Tutti sapevano, nessuno si mosse», le sue parole subito dopo il disastro. Da tempo, prima della strage, «sulle case c'erano le crepe e così nella terra, di notte si avvertivano forti scosse di terremoto», ricordava il 9 ottobre 2022, giorno della commemorazione, Virgilio Barzan, sindaco del Comune di Vajont, 13enne nel 1963. Superstite come Italo Filippin, già sindaco di Erto e Casso, “informatore della memoria” per le quasi 100mila persone che ogni anno visitano la diga gestita dal Parco naturale Dolomiti friulane: «Da 60 anni la domanda che mi viene fatta in modo ricorrente è cosa ho provato quel giorno. La risposta che fornisco di solito spiazza. Per noi fu come la fine del mondo. Solo chi c’era può capire». Obitori pieni, ospedali quasi vuoti, ricorda. Si salvarono in pochi. Tra questi un giovanissimo Mauro Corona, lo scrittore. «A lui, a Marco Paolini e Marco Martinelli – così Filippin – dobbiamo molto: hanno scongiurato il rischio dell’oblio. Senza quella cassa di risonanza magari non ci sarebbe il Presidente della Repubblica a onorare le vittime. Perché lo Stato per moltissimo tempo preferì guardare di lato, imbarazzato».

Oggi Mattarella arriverà con l’aereo presidenziale alla Base di Aviano, si trasferirà in elicottero al cimitero di Fortogna, frazione di Longarone, dove, alle 10, sarà accolto dal presidente del Veneto Luca Zaia. Seguiranno le celebrazioni al cimitero monumentale di Fortogna, dove Mattarella arriverà - accolto per il governo dal ministro Luca Ciriani, per la Regione Fvg dal presidente Massimiliano Fedriga -; poi la visita all’area della diga. Con loro 130 cittadini (80 di Erto e Casso, 50 di Vajont), scelti dalle amministrazioni locali.

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