Utero in affitto, a Trieste il pm chiede 2 anni e 4 mesi
Due anni e 4 mesi per aver voluto un figlio a tutti i costi nonostante la loro fosse un’età ormai più che matura. È questa la pena che ha chiesto ieri mattina il pm Lucia Baldovin al giudice Guido Patriarchi nei confronti di una coppia, sessantanove anni lei, cinquantasei lui.
I due sono accusati dal pm Baldovin di alterazione dello stato civile: praticamente di aver commesso un falso dichiarando di essere papà e mamma naturali di due bambini nati in Ucraina col sistema dell’utero in affitto. Nell’udienza di ieri che si è svolta a porte chiuse con rito abbreviato il difensore Sergio Mameli si è battuto per l’assoluzione. La coppia visibilmente provata è stata presente in aula. Occhi lucidi e mano nella mano. Un’emozione altrettanto intensa ma sicuramente diversa da quella provata quando sono andati in Ucraina e in una clinica di Kiev hanno “affittato” un utero pagando settemila euro. E soprattutto quando - dopo nove mesi - sono tornati a Kiev presentandosi alla ragazza che stava per partorire. E poi come papà e mamma sono tornati in Italia con due gemelli in carrozzina e un regolare certificato di nascita rilasciato dalle autorità di quel Paese.
L'indagine è stata avviata su segnalazione del Comune di Trieste: un funzionario dell'ufficio anagrafe non ha ritenuto possibile che una donna nata nel 1944, quando la seconda guerra mondiale era ancora in pieno svolgimento, alla veneranda età di 67 anni, potesse aver assunto il uolo di partoriente, mettendo al mondo due gemelli.
Di mamme-nonne si conoscono parecchi casi, ma nessuno, secondo la letteratura medica ha mai partorito all'età di questa donna che sulla carta d'identità ha scritto pensionata. Eppure il certificato di nascita ucraino è del tutto regolare e valido. E si legge che la triestina pensionata è la madre dei due bambini. A Kiev la legge ammette infatti la cosiddetta “maternità surrogata”, mentre nel nostro Paese è reato affittare o prendere in affitto un utero per mettere al mondo un figlio che in altri modi non ce la fa a nascere. O per incompatibilità genetica tra la coppia che lo desidera disperatamente, o, come in questo caso, per raggiunti limiti di età biologica di uno o di entrambi i coniugi o conviventi, come è avvenuto.
Certo è che questa è una vicenda di estrema complessità che esula in buona parte dall’aspetto giuridico in senso stretto. Può essere considerata mamma in tutto e per tutto una donna che non ha portato nel proprio grembo il bambino e che non lo ha sentito muoversi, scalciare, agitarsi per mesi e mesi, mentre la “pancia” cresceva? La donna triestina ha prestato il seme del marito a una giovane ragazza ucraina che si è messa a disposizione della coppia per una certa somma di denaro, non per amore.
L’ex repubblica sovietica non è sola in questo grande mercato degli uteri in affitto perché quanto viene contestato come reato ai due coniugi triestini, è del tutto lecito in Gran Bretagna, Svizzera, Canada, Israele e in Usa. La differenza è che nelle cliniche specializzate di Kiev costa meno che altrove. Solo una questione di soldi. La sentenza è prevista per il prossimo 6 giugno.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo