Utero affittato in Ucraina, coppia indagata
Una coppia di triestini che volevano un figlio a tutti i costi e hanno coronato il proprio desiderio in Ucraina è finita nei guai per alterazione di stato civile. Un reato punito dall’articolo 567 del Codice penale. Rischiano una condanna che arriva fino a dieci anni. Il sospetto è che i due - lui nato nel 1974, lei nel 1968 - siano andati in Ucraina e lì, in una clinica di Kiev, abbiano “affittato” un utero pagando migliaia di euro. Per poi rientrare in Italia e nove mesi più tardi ripresentarsi nuovamente in Ucraina dalla ragazza che stava per partorire. Ultimo atto il ritorno a Trieste con la bambina appena nata e un regolare certificato di nascita rilasciato dalle autorità di quel Paese.
Ieri mattina sono stati sottoposti al test del Dna direttamente nell’ufficio del pm Massimo De Bortoli. Era presente il loro difensore, l’avvocato Sergio Mameli. A disporre la prova è stato lo stesso pm che ha ordinato che papà e mamma lascino su un vetrino un po’ della loro saliva. E così ha fatto anche la piccola, che ha appena otto mesi. L’incarico, nella forma dell’accertamento tecnico non ripetibile, è stato affidato alla dottoressa Solange Sorcaburo Ciliero. Eppure il certificato di nascita ucraino è del tutto regolare e valido. Si legge che la donna triestina è la vera madre della bambina. A Kiev la legge ammette infatti la cosiddetta “maternità surrogata”, mentre nel nostro Paese al contrario è reato affittare o prendere in affitto un utero per mettere al mondo un figlio che in altri modi non nascerebbe.
Questa vicenda di estrema complessità esula in buona parte dall’aspetto meramente giuridico. Secondo la cultura corrente e il buon senso da anni può essere considerata mamma in tutto e per tutto anche una donna che non ha portato nel proprio grembo il “suo” bambino. Ma per la legge no. Quella non è una mamma “regolare”. Per questo motivo in Ucraina si è sviluppato un mercato al quale si rivolgono un migliaio di coppie all’anno provenienti da svariati paesi. L’ex Repubblica sovietica non è la sola in questo grande “mercato degli uteri in affitto” perché quanto viene contestato come reato ai due coniugi triestini è del tutto lecito ad esempio in Gran Bretagna, Svizzera, Canada, Israele e Usa. La differenza è che nelle cliniche specializzate di Kiev costa meno che altrove: un solo tentativo di inseminazione, definito economico, costa poche migliaia di euro. Così dietro a questo vorticoso giro di denaro si consuma il dramma di chi desidera un figlio tutto suo e si aggrappa alla speranza venduta da queste cliniche-fabbriche di bambini. La legge 40 del 2004, ispirata ai principi della morale cattolica, vieta in Italia la fecondazione eterologa e considera figlio solo quello partorito dalla madre. All’estero, nei paesi che hanno messo quest’opportunità diversa a disposizione delle coppie che desiderano un figlio, non importa come concepito, due sono le clausole da rispettare: che la coppia sia sposata e che uno dei due genitori sia sterile o impossibilitato a generare. Questa “clausola” è stata rispettata dai due triestini finiti sotto inchiesta.
L’accusa è infatti formale. È quella di aver esibito un atto di nascita non valido per la legge italiana al Consolato generale d’Italia a Kiev chiedendone la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune di Trieste. Così per fugare ogni dubbio sui genitori asseritamente naturali, il pm De Bortoli dopo aver chiesto e ottenuto dal gip la nomina di un curatore speciale della bambina - l’avvocato Antonella Mazzone - ha ordinato il test genetico sulla compatibilità del Dna della minore con quello dei genitori indagati. In un laboratorio prima, e in un’aula del tribunale poi, si stabilirà se effettivamente sono loro i genitori. Una prova del nove in cui la posta è una bambina di pochi mesi che potrebbe anche essere data in affidamento e tolta da coloro i quali hanno scelto di essere i suoi genitori, e che per questo la amano.
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