Utero “affittato”, chiesto il giudizio
Rischiano il processo per aver voluto un figlio a tutti i costi, nonostante la loro fosse ormai un’età più che matura. Sessantanove anni lei, cinquantasei lui. Sono andati in Ucraina, hanno “affittato” un utero in una clinica di Kiev pagando settemila euro. Poi sono rientrati in Italia e nove mesi più tardi si sono ripresentati in Ucraina dalla ragazza che stava per partorire. Quindi sono rientrati Trieste con due gemelli e un regolare certificato di nascita rilasciato dalle autorità di quel Paese.
Il pm Lucia Baldovin ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio. La coppia comparirà giovedì 17 davanti al giudice Guido Patriarchi. Con loro sarà presente il difensore Sergio Mameli. Rischiano dai cinque ai 15 anni di carcere perché secondo l’accusa hanno commesso un falso nel momento in cui con l'ufficiale anagrafico si sono detti padre e madre dei gemelli che volevano registrare come loro figli. Il reato contestato è l’alterazione di stato civile, punito dall'articolo 567 del Codice penale.
L'indagine è stata avviata su segnalazione del Comune di Trieste: un funzionario dell'ufficio anagrafe non ha ritenuto possibile che una donna nata nel 1944, quando la seconda guerra mondiale era ancora in pieno svolgimento, potesse aver assunto qualche alla veneranda età di 67 anni, il ruolo di partoriente, mettendo al mondo due gemelli. Di mamme-nonne si conoscono parecchi casi, ma nessuno, secondo la letteratura medica ha mai partorito all’età di questa donna che sulla carta d’identità ha scritto pensionata.
Eppure il certificato di nascita ucraino è del tutto regolare e valido. Dice che la triestina pensionata è la madre dei due bambini. A Kiev la legge ammette infatti la cosiddetta “maternità surrogata”, mentre nel nostro Paese è reato affittare o prendere in affitto un utero per mettere al mondo un figlio che in altri modi non ce la fa a nascere. O per incompatibilità genetica tra la coppia che lo desidera disperatamente, o, come in questo caso, per raggiunti limiti di età biologica di uno o di entrambi i coniugi o conviventi.
Certo è che questa è una vicenda di estrema complessità che esula in parte dall’aspetto giuridico in senso stretto. Può essere considerata mamma in tutto e per tutto una donna che non ha portato nel proprio grembo il bambino e che non lo ha sentito muoversi, scalciare, agitarsi per mesi e mesi, mentre la "pancia" cresceva?
La donna triestina ha prestato il seme del marito a una giovane ragazza ucraina che si è messa a disposizione della coppia per una certa somma di denaro, non per amore. In Ucraina in effetti si è sviluppato un mercato a cui ogni anno si rivolgono un migliaio di coppie provenienti da svariati Paesi. L’ex repubblica sovietica non è sola in questo grande mercato degli “uteri in affitto” perché quanto viene contestato come reato ai due coniugi triestini, è del tutto lecito in Gran Bretagna, Svizzera, Canada, Israele e in Usa. La differenza è che nelle cliniche specializzate di Kiev costa meno che altrove: una solo tentativo di inseminazione, definito economico - costa cinquemila euro; due tentativi, settemila o poco più. Dietro a queste cifre si consuma il dramma di chi desidera un figlio tutto suo e si aggrappa alla speranza venduta da queste cliniche-fabbriche di bambini. La legge 40, ispirata ai rigidi principi della morale cattolica, vieta in Italia la fecondazione eterologa. All’estero, nei Paesi che hanno messo a disposizione delle coppie che desiderano un figlio, non importa come concepito, due sono le clausole da rispettare: che la coppia sia sposata e che uno dei due genitori sia sterile o impossibilitato a generare. Questa “clausola” è stata rispettata dai due triestini finiti sotto inchiesta. La mamma, vista l'età, non poteva più procreare. Per questo la scelta di affrontare il viaggio della speranza fino a Kiev, dove etica, affari, codice penale, amore per un bambino, cinismo e povertà della madre naturale, si intrecciano in un groviglio inestricabile. Al centro della vicenda due gemelli un maschietto e una femminuccia che hanno bisogno di tenerezza, tranquillità. E soprattutto di una vera famiglia.
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