Usura ed estorsione, ascoltati i debitori: «Tassi dal 20 al 30% sulle cifre prestate»

L’indagato napoletano resta ai domiciliari: il Riesame ha rigettato la richiesta di misure meno afflittive
Bonaventura Monfalcone-05.04.2016 Conferenza stampa-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-05.04.2016 Conferenza stampa-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura



Niente libertà. Il Tribunale del Riesame ha rigettato il ricorso del legale del 43enne di origine napoletana, M.D.A., arrestato in piazza della Repubblica dai carabinieri lo scorso 7 ottobre, giorno di mercato, per «usura ed estorsione». L’istanza formulata dall’avvocato Alessandro Barbariol chiedeva martedì la revoca della misura degli arresti domiciliari, disposta due settimane prima dal giudice all’udienza di convalida a Gorizia, o in subordine misure meno afflittive come l’obbligo di firma.

Intanto le indagini, dirette dal sostituto procuratore Ilaria Iozzi, proseguono e vengono sentite in caserma persone che hanno intrattenuto rapporti con l’indagato. I carabinieri della Compagnia di Monfalcone da otto mesi sul caso partito dalla segnalazione dei familiari di uno dei creditori del presunto usuraio, un impiegato triestino di 46 anni, già ieri, hanno lanciato l’appello ai cittadini affinché spontaneamente si rechino al comando di via Sant’Anna a riferire in merito a eventuali operazioni di prestito effettuate con il 43enne, impiegato in una ditta dell’appalto, ma attualmente in cassa integrazione, come riferito dal suo legale. Nel corso della prolungata attività di indagine i militari hanno identificato «ulteriori vittime dell’usura riconducibili all’arrestato» e svelato «un’attività di spaccio di sostanze stupefacenti». La terza accusa mossa dalla Procura di Gorizia.

Nuovi particolari emergono nelle ricostruzioni. Alcune persone ascoltate avrebbero riferito di «tassi applicati al prestito del 20%». Addirittura «fino al 30% se si trattava di somme di più modesta entità». A scopo solo esemplificativo: se si fossero ricevuti in prestito mille euro, l’impegno sarebbe stato di versarne 200 al mese fino alla consegna della somma inizialmente richiesta. Così, sempre in via ipotetica e al solo fine di illustrare il meccanismo, se il debito si fosse estinto al termine di sei mesi, la persona si sarebbe trovata a versare 2.200 euro, oltre il doppio del dovuto. Per questo i militari l’altro giorno hanno definito i tassi applicati in questa vicenda, dai contorni inediti per una città come Monfalcone, «esorbitanti». Non è il solo aspetto, comunque, su cui l’attività investigativa si è concentrata, in particolare nella fase antecedente le manette. «L’indagato dopo l’apertura di due negozi per la commercializzazione di prodotti tipici campani – sempre i carabinieri nell’illustrazione dell’operazione – si apprestava ad aprire ulteriore attività commerciale nel centro cittadino». Nel caso dei primi esercizi anche con un taglio del nastro alla presenza di autorità, chiaramente del tutto ignare del fatto che già da alcuni mesi la Procura stesse attenzionando l’uomo. Secondo l’accusa, a ogni modo, si tratterebbe «di denaro proveniente da attività illecite le cui condotte si sarebbero protratte per alcuni anni». Ma il legale di M.D.A. sul punto ha già riferito che la terza attività è gestita da un familiare del tutto estraneo a queste vicende. All’arresto in flagranza, quel mercoledì 7 ottobre, si era arrivati in seguito «all’ennesima richiesta di interessi da parte dell’indagato e di minaccia di ritorsioni fisiche»: i militari, all’appuntamento in piazza fissato con uno dei creditori, avevano proceduto dopo aver trovato addosso a M.D.A. le stesse banconote (consegnate dalla vittima) che in precedenza avevano provveduto a fotocopiare. Stando alle indagini il 43enne, nella cui abitazione in affitto, dopo la perquisizione, sono stati sequestrati tre orologi, di cui un Rolex, e alcuni gioielli del valore superiore a 10 mila euro, «conduceva un alto tenore di vita». E ciò nonostante, sempre secondo l’impianto dell’accusa, fosse «di fatto un nullatenente, poiché utilizzava prestanomi per le sue attività» e «si era contornato di alcuni corregionali che, anche loro debitori, prestavano la propria opera al fine di agevolare l’apertura e la gestione delle attività commerciali». –

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo