Uno skipper e un gregge di pecore “padroni” dell’ex gulag di Tito in vendita
Le orme bagnate evaporano in fretta sul cemento caldo. Al molo, dove una volta arrivavano i prigionieri, Tomaj si sposta scalzo, canna da pesca alla mano. Una piccola rincorsa, poi amo ed esca si tuffano nell’acqua fresca e trasparente. «Cosa si può pescare a Goli Otok? Di tutto, con un po’ di fortuna!», dice guardando il mare. Tomaj viene da Kranj, in Slovenia. Con tre amici, ha preso qualche giorno di ferie e ora scende in barca la costa del Quarnaro. «Stamattina eravamo sull’isola di Rab, non potevamo non passare di qua», racconta. «Ho quarant’anni e pochi ricordi della Jugoslavia, ci tenevo a vedere Goli Otok».
Alle sue spalle, una lunga salita porta a quel che resta degli edifici dell’isola, sfondati dal tempo e dall’abbandono. Nei capannoni industriali, gli alberi sono cresciuti facendosi un varco nel tetto, crollato sul pavimento. Quando erano in funzione, tra il 1948 e il 1988, questi magazzini polverosi brulicavano di operai. «Tutti i condannati lavoravano otto ore al giorno in uno dei tre impianti», recita il pannello sbiadito all’ingresso, ma oggi non c’è più nessuna traccia dei macchinari per la lavorazione del legno, dei metalli o della pietra.
«Quando hanno chiuso Goli Otok, qui si è rubato di tutto», dirà più tardi Bruno, il giovane skipper croato che fa la spola tra la costa e l’isola-prigione. Sono vuote, o quasi, anche le stanze dell’ex ospedale e dell’edificio un tempo destinato alla quarantena degli internati. Tra le pareti scrostate dall’umidità, si trova solo qualche materasso squarciato e un paio di sedie, corrose e piegate dalla ruggine. Nei bagni turchi - ormai otturati dai calcinacci e dalle foglie - qualche visitatore ha inciso una frase sul muro, come in un bar o in una discoteca.
Ma a Goli Otok, gli unici rumori che si sentono sono i cigolii degli scuri sbattuti dalla bora e i belati delle capre, che i pastori di Arbe hanno portato qui a brucare quel poco che un’isola “calva” può offrire: piccoli arbusti spinosi e macchie d’erba. «Qualunque cosa decidano di fare di Goli Otok, ci vorranno un sacco di soldi!», scherza Ivan, un commerciante di Lubiana di passaggio sull’isola. «Bisognerà buttare giù e ricostruire tutto», commenta esaminando le crepe che si arrampicano fino al soffitto. Di fronte all’ospedale, un gruppo di studenti di Stuttgart guarda in silenzio la “Petrova rupa” (“il buco di Pietro”), dove venivano torturati i prigioni politici. Il gulag di Tito non fa parte del programma, ma gli insegnanti hanno comunque deciso di portarci gli studenti, approfittando della gita in Ungheria e Croazia. «Davvero vogliono vendere l’isola?», chiede incredulo il prof di storia.
Da quando il governo di Zagabria ha inserito Goli Otok in una lista di cento beni pubblici da privatizzare, il nome dell’isola è ricomparso sulle prime pagine dei giornali. «Io penso che l’abbiano fatto apposta. Così tutti ne parlano e nessuno si preoccupa degli altri 99 progetti», sospetta Goran Antunac, vicepresidente dell’associazione “Goli Otok - Ante Zemljar” e figlio di un internato sull’isola-prigione. «Siamo seri - prosegue questo giocatore di scacchi sulla sessantina - è inimmaginabile che l’isola non diventi un luogo di memoria».
Anche se la sua associazione difende quest’idea già dal 2004, nelle prossime settimane tutte le proposte riguardanti il futuro di Goli Otok saranno discusse durante una tavola rotonda. Tra le più insolite, c’è chi propone di trasformare le macerie del campo di prigionia in un resort di lusso per turisti gay.
Al molo, le ombre sono già lunghe, mentre Bruno riavvicina il suo gommone alla riva. «Ho dovuto fare un mutuo da 40.000 euro per comprarlo», racconta il 23enne originario di Zagabria. «D’estate faccio quasi un viaggio al giorno a Goli Otok e a Sveti Grgur, la prigione femminile. Di solito, sono i turisti che vanno ad Arbe o a Veglia a chiedermi di portarli qui». Bruno si è trasferito due anni fa dalla capitale croata a Sveti Juraj, sulla costa, per fare lo skipper. Qualunque siano i piani del governo croato, lui spera che l’isola non venga più lasciata all’abbandono. «Ci vorrebbe una struttura, un museo, qualcosa che sia aperto tutto l’anno, altrimenti non c’è motivo per venire a Goli Otok fuori stagione». Senza turisti da trasportare con la sua barca, Bruno ha dovuto inventarsi un altro lavoro per l’inverno. «È quasi iniziata la stagione del polpo», dice sollevando il gancio argenteo che usa per stanare i molluschi. Venduti a due euro al chilo al mercato di Senj, i grossi polpi dell’Adriatico permetteranno a Bruno di rimborsare il suo mutuo... soprattutto nel caso in cui Goli Otok restasse ancora a lungo nel dimenticatoio della politica croata.
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