Università popolare, la linea di Garufi: «Statuto antiquato, pronti a rivederlo»
TRIESTE «Stiamo lavorando su due filoni. Uno è fare chiarezza nella gestione dell’Università popolare di Trieste, in modo da renderla più ordinata, l’altro è rivedere il suo statuto, ormai antiquato». La commissaria dell’Upt Francesca Adelaide Garufi commenta così l’idea fattasi in questo mese di incarico, iniziato ufficialmente il 19 dicembre dello scorso anno.
Garufi si richiama agli obiettivi posti dal provvedimento di conferimento dell’incarico: «Dovremo ricondurre a una gestione ordinata l’Upt e provvedere a una revisione dello statuto. Quest’ultimo infatti è ormai piuttosto antiquato, abbisogna di essere aggiornato alle più moderne disposizioni generali della pubblica amministrazione». Mettere mano allo statuto dell’Upt non è cosa scontata: l’ente è nato nel 1899 e la sua vetustà spiega le caratteristiche peculiari dell’istituzione triestina. «Parliamo di una situazione radicata nel tempo, ci sono delle incertezze sulla natura dell’ente. In parte si tratta di una realtà associativa, come sono di norma le università popolari nel resto d’Italia. Quella di Trieste, però, è l’unica ad avere una finalità specifica a parte, il sostegno alla cultura italiana nelle comunità dei connazionali nei Paesi vicini».
Conclude la commissaria, nonché ex prefetta di Trieste: «Sto ancora facendomi un quadro, poiché sono arrivata da poco. Abbiamo sei mesi di tempo, vedremo quanto sarà necessario. In ogni caso noi portiamo avanti il lavoro riferendo puntualmente agli enti che hanno voluto il commissariamento, ovvero Regione, Ministero e Prefettura».
Nel frattempo l’inchiesta sul contesto politico della crisi dell’Upt, pubblicata lunedì scorso sulle pagine del Piccolo, suscita diverse reazioni soprattutto in area dem. L’ex europarlamentare Giorgio Rossetti pone delle questioni via social: «Alla luce di quanto scritto ci sono due quesiti da porre. Il primo riguarda la validità di una scelta fatta dai governi oltre 60 anni fa di affidare ad ente privato il compito di gestire i milioni dello Stato a sostegno delle comunità italiane in Istria e Dalmazia e più recentemente anche quelle per gli esuli». Allora c’era la Guerra fredda e la necessità di gestire i rapporti con Belgrado, argomenta Rossetti. Esigenze che ora non ci sono più: «A prescindere dalla crisi attuale (potrebbe anche trattarsi di una vicenda contingente), il momento per una riflessione ci sta tutto. Ci sarà?», si chiede l’esponente dem. Il secondo quesito riguarda il Pd di Trieste, «chiamato in causa da questa vicenda»: «Ha niente da dire? In una fase congressuale che cerca di ridefinire valori e principi di una forza politica riformista, una replica a cominciare da coloro che sono citati negli articoli de Il Piccolo è doveroso attenderselo. Perché ne va di mezzo l’immagine e la credibilità del Pd locale». Gli risponde in diretta il consigliere ed ex senatore Francesco Russo, citato dai media di allora assieme a Debora Serracchiani ed Ettore Rosato tra i sostenitori di Fabrizio Somma: «Non esiste alcun mio coinvolgimento né diretto né indiretto nelle vicende dell’Università Popolare. Il mio essere stato in quegli anni “non in linea” con chi comandava a Trieste e in Regione mi ha – per fortuna – escluso dalle decisioni che hanno contribuito a creare la situazione che descrivi. Per quanto riguarda il mio impegno parlamentare, Ministri e e sottosegretari della scorsa legislatura possono confermarti che hi sempre sostenuto la necessità di una drastica rivisitazione degli strumenti con cui l’Italia sostiene le proprie comunità in Slovenia e Croazia, essendo evidente che un modello pensato ai tempi della guerra fredda è antistorico, inefficace e perfino dannoso in un momento storico completamente diverso». —
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