Università, -679 iscritti: crisi e calo demografico

Rispetto allo scorso anno la flessione è del 14% ma i dati saranno definitivi quando arriveranno le conferme dei laureati triennali dell’appello a febbraio
Di Gabriella Ziani
Lasorte Trieste 11/07/07 - Università Rettore Peroni
Lasorte Trieste 11/07/07 - Università Rettore Peroni

Se guardassimo i dati nudi e crudi, senza quella notula che avverte “non sono consolidati” (dunque non sono definitivi) ci sarebbe da intristire, perché all’Università di Trieste risulterebbe iscritto il 14% in meno di studenti rispetto allo scorso anno, e ci sarebbe un calo anche di immatricolati (cioé iscritti al primo anno) per la prima volta dal 2003-2004. Mancano però le iscrizioni del secondo turno, a marzo, quando (e se) arrivano al corso magistrale i laureati triennali dell’ultimo appello di febbraio. Secondo il rettore Francesco Peroni sono di media 600, e se così sarà per davvero sarà quasi colmato il “gap” che a oggi dice 679 presenze in meno. Da quando il Consiglio universitario nazionale ha preso in mano le tabelle del decennio, scoprendo che gli atenei italiani hanno perso per strada 55 mila studenti, un’emorragia straziante, ogni ateneo è corso in archivio per analizzare la propria situazione. Lo ha fatto anche quello di Trieste.

Scoprendo che il “picco” di studenti si è avuto qui tra 2006 e 2009, quando si sono superati i 5000 iscritti al primo anno (sommatoria fra matricole e ragazzi che cambiano facoltà) con un massimo assoluto nell’anno accademico 2007-2008: 5343. Rispetto al 2003-2004 l’Università aveva allora guadagnato ben 1185 studenti. Lo scorso anno, ultimi dati “consolidati”, questa fetta di aumento si era quasi dimezzata: +546 rispetto allo stesso parametro d’inizio decennio. Mentre quota 5000 non è mai stata superata per le matricole. È nel 2010 che è cominciata la discesa con un pesante -9,7% di iscritti totali, il dato più negativo nei 10 anni esaminati. «Dovremmo esserci ri-assestati, anche se è vero che l’Università resta costosa e i problemi economici possono certamente incidere sulle scelte di famiglie e ragazzi, benché sia da tenere in conto anche il calo demografico», è quello che ritiene Peroni.

Ma mentre il crollo del numero globale di studenti ha lasciato tutti di stucco, come segno di irreversibile crisi del sistema Italia, lo stesso ministro Francesco Profumo ha avvertito che le cifre nude non rappresentano solo volontà e possibilità dei singoli, ma anche le tortuose altalenanze normative attraverso cui il sistema universitario italiano è passato negli anni, con riforme realizzate a puntate, dall’introduzione della laurea triennale ai “crediti” facili, fino al tracollo dei finanziamenti firmati Tremonti prima, e Monti adesso.

Peroni ricorda che una riforma firmata Berlinguer-Zecchino (due ministri) «diedero crediti sostitutivi della frequenza a molte categorie professionali, dalle forze armate ai commercialisti, in virtù di questo bastava aver lavorato per risultare idonei a frequentare solo l’ultimo anno, o addirittura dare solo la tesi di laurea». Una “coorte” di iscritti si riversò nelle statistiche delle università. Poi la successiva sequenza di ministri (Mussi, governo Prodi, e Gelmini, governo Berlusconi) diede la stretta a questi regali, ed ecco il crollo numerico degli aspiranti laureati.

Ma nel frattempo e specialmente a Trieste il drammatico calo dei finanziamenti e i limiti di spesa per stipendi hanno spinto l’ateneo a pensionare docenti su docenti. Le regole ministeriali, mossa successiva, hanno reso più stringenti i parametri dell’ossatura scientifica e didattica degli atenei: senza il numero “giusto” di professori di ruolo, un corso non sta in piedi. Dunque è iniziato il prosciugamento dell’università stessa (prima che quello degli studenti).

Con un finale perciò di paradosso, forse nascosto in queste cifre di rapporto globale. E non certo ottimistico. «Se in certe facoltà il numero di iscritti è calato - avverte infatti Peroni - forse non è per la minore richiesta da parte dei giovani. Ma perché anche facoltà per le quali a livello nazionale non è previsto, è stato istituito localmente il numero chiuso. Viceversa i docenti non sarebbero stati in numero adeguato».

Cifre, cifre. Ma quel che sta dietro i processi è perfino più interessante. E, naturalmente, anche più inquietante.

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