Unità d'Italia, la comunità slovena "È una festa anche nostra"
La senatrice Pd Tamara Blazina: "Viviamo e lavoriamo in questo Paese e ne contribuiamo alla crescita". Il segretario regionale dei Comunisti italiani Spetic: "La minoranza prenderà parte alle manifestazioni del 17 marzo, in un atteggiamento normale e leale come avviene ogni 2 giugno"
La campionessa di pattinaggio Tanja Romano, appartente alla minoranza slovena
TRIESTE.
Parenti serpenti? No, fratelli. Fratelli d’Italia. Speciali, più che diversi. Coinquilini, più che ospiti. Gli sloveni di Trieste sono pronti a festeggiare i 150 anni dell’unità del Paese di cui fanno parte. E se qualcuno di loro proprio non ce la fa a sventolare il tricolore... beh, per lo meno ne sbandiera pubblicamente il rispetto, consapevole che non è questo il momento di rivendicare, o peggio provocare.
È, al massimo, l’occasione per urlare ciò che tutti sanno e pochi ricordano: la Trieste che fu austro-ungarica, due volte redenta sì ma nel Novecento, ben poco ha a che fare con la geografia squisitamente risorgimentale. In questo controverso, politicamente parlando, conto alla rovescia verso il 17 marzo, la comunità slovena di casa nostra - a sentire i suoi rappresentanti politici, amministrativi, culturali, sportivi ed economici - si scopre e si proclama, insomma, distante anni luce da Luis Durnwalder, il governatore altoatesino, il quale ha annunciato che lui, alle celebrazioni dei 150 anni, non si farà vedere.
Fosse solo questo: quelli che della minoranza sono leader storici o pubblici rappresentanti in carica - inquadrabili a stragrande maggioranza in una sinistra italiana che si sta riscoprendo a sua volta patriottica - un’occasione storica oggi la annusano comunque. E così si prendono la briga e di certo il gusto di bacchettare i tentennamenti patriottici di un governo di centrodestra che senza la Lega non starebbe in piedi..
«Quella del lavorare lo stesso il 17 marzo perché c’è la crisi - attacca la senatrice del Pd Tamara Blazina - è una polemica strumentale. Se dev’essere festa, lo sia al 100%. Siamo una comunità minoritaria, è vero, ma siamo pronti a partecipare a pieno titolo a questi festeggiamenti. Viviamo e lavoriamo in questo Paese e ne contribuiamo alla crescita. Eppoi la ricorrenza è la base per difendere i valori della nostra Costituzione che riconosce le minoranze».
«Concordo - si spinge oltre il consigliere regionale per Rifondazione comunista Igor Kocjancic - sul fatto che rimangano chiusi uffici pubblici e istituti scolastici. È un anniversario molto importante, dedicato a un valore che va preservato. E invece, guarda caso, tutti i dubbi e le prese di distanza vengono dalla compagine di governo...».
Su due livelli di partecipazione differenti, invece, pur nel rispetto delle celebrazioni, si muovono i sentimenti di due ex senatori di tradizione comunista come l’ex sottosegretario del governo Prodi Budin e il segretario regionale dei Comunisti italiani Spetic, Più ottimista si mostra Milos Budin: «Durnwalder? Mi pare una posizione frutto di una concezione ottocentesca dello Stato, come se lo Stato fosse un’entità che esiste in funzione dell’etnia e non invece un’entità civica e democratica che garantisce l’esistenza ai cittadini organizzando le scuole, i servizi sociali e quant’altro. Anche se lentamente, tutti assieme stiamo procedendo sulla strada che porta alla Nazione civica e al superamento di quella etnica. E in questo, ci aiuta l’Unione europea».
«Non c’è dubbio - è l’interpretazione di Stojan Spetic - che la minoranza prenderà parte, con i propri rappresentanti, che oggi sono cittadini italiani, alle manifestazioni del 17 marzo, in un atteggiamento normale e leale come avviene ogni 2 giugno. Basta che siamo sinceri e ricordiamo la storia, che dice che noi triestini non abbiamo partecipato al Risorgimento, siamo arrivati dopo».
E la festa, dev’essere festa fino in fondo? «Beh - chiude l’ex senatore comunista - è un’una tantum e non diventa una ricorrenza annuale, si potrebbero pertanto chiudere le scuole, anche se penso non sarebbe neppure un male parlarne, proprio in quella giornata, a scuola». Più pragmatico è l’atteggiamento del mondo dell’impresa. «Lavorare o meno - taglia corto Nicola Tenze, il presidente dell’Ures, l’Unione regionale econica slovena - è una decisione che spetta alla politica, fermo restando che il 17 marzo è una data importante. Da rispettare». Per Drago Stoka, numero uno della Sso, la Confederazione delle organizzazioni slovene, «l’importante è che sia una festa costruttiva, priva di alcun secondo fine politico. Siamo cittadini italiani in un contesto europeo, e affinché si tratti appunto di una festa costruttiva noi faremo la nostra parte: promuoveremo un’analisi di come l’Italia si è comportata con noi nel corso della storia».
Un indizio in più lo dà Rudi Pavsic, il presidente dell’Skgz, l’Unione culturale ed economica slovena: «Pensiamo che uno Stato tra i più democratici d’Europa dovrebbe essere più attento alle problematiche delle minoranze, ma siamo anche convinti che le barricate, che qualcun altro ha deciso di innalzare (Durnwalder, ndr) non servono. La soluzione è il dialogo, e per questo organizzeremo un convegno a livello regionale, probabilmente a Cividale, sempre nel mese di marzo».
La pulce all’orecchio - «ma per l’amor del cielo non abbiamo nulla in contrario che l’Italia festeggi i suoi 150 anni, e sul lavorare o meno apprezzeremo qualsiasi scelta che rappresenti la volontà del Paese - viene infine da Peter Mocnik, da leader politico dell’Unione slovena. «Mi spiace - è il suo punto di vista - che le vie della città qui abbiano solo i nomi di caduti irredentisti. Il 95% dei nostri morti, nella Prima guerra mondiale, sono stati morti austriaci, e quindi morti dimenticati. Eppure erano triestini come noi. Noi, 150 anni fa, eravamo sotto l’Austria, che era uno Stato molto diverso, totalmente multietnico».
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