Ungheria, la Corte costituzionale ferma Orban: bocciata la “legge schiavitù” sugli straordinari
Cassata la normativa che portava fino a 400 ore annue gli extra da pagare fino a tre anni dopo
BUDAPEST Schiaffo - per la verità inaspettato - della Corte costituzionale ungherese al premier Viktor Orban: la cosiddetta “legge schiavitù”, che aumenta il tetto degli straordinari a 400 ore l'anno consentendone il pagamento con un ritardo anche di tre anni, è stata ritenuta in parte incostituzionale. La Corte, che ha accolto alcuni punti del ricorso dei sindacati, pur riconoscendo lo scopo della legge di rispondere alle esigenze delle imprese, ha stabilito che nessuno potrà essere licenziato se rifiuta gli straordinari e che questi devono comunque essere pagati entro l'anno.
Fortemente voluta dal governo Orban, la legge fu approvata nel 2018, in una seduta burrascosa - in aula i partiti di opposizione, facendo ostruzionismo, bloccarono la scalinata - mentre migliaia di ungheresi scesero in piazza per protestare. L'aumento del tetto degli straordinari si traduceva per i dipendenti, nella pratica, in una settimana lavorativa di 6 giorni e oltre 10 ore quotidiane per 5 giorni di lavoro, senza la garanzia di essere pagati per gli straordinari. La modifica legislativa attuata dal Governo Orban andava incontro alle grandi imprese, sempre più in affanno nel trovare forza lavoro nel Paese che ha chiuso le porte all'immigrazione e ha visto circa il 16% degli occupati (circa 5-600 mila persone) emigrare negli ultimi anni verso i paesi Ue, soprattutto in Germania e Gran Bretagna, in cerca di salari più alti e condizioni di lavoro più regolate.
Per i sindacati si trattava di «una legge schiavista», dal momento che anche se gli straordinari restavano su base volontaria, di fatto i lavoratori non potevano rifiutarsi di farli, pena la minaccia del licenziamento. La sentenza della Corte adesso obbliga il governo ad abrogare i punti controversi entro luglio. «È una sconfitta netta del governo Orban» ha commentato Timea Szabo, presidente del partito verde Parbeszed, tra i firmatari del ricorso. Anche alla luce del fatto che la Corte, i cui membri sono scelti dal governo fra giuristi fedeli, «di certo, non è nemica del governo illiberale», ha aggiunto I partiti di opposizione, su l'iniziativa di Jobbik (centrista nazionalista) hanno subito presentato in Parlamento una modifica, o meglio una rimodifica del Codice di lavoro, per il ripristino dello stato precedente.
Ma non è escluso che la maggioranza governativa, per salvare la faccia, lo respingerà per presentando una sua versione. Il movimento di protesta contro la cosiddetta “legge schiavitù”, due anni fa, divenne il catalizzatore per la formazione di un'alleanza fra tutte le forze democratiche del paese, capace ormai di sfidare Orban alle prossime elezioni nel 2022. «Fra un anno, saranno abrogate tutte le leggi ingiuste di Orban», promettono i partiti alleati, che attualmente sono sette, più un paio di organizzazioni civili.
Orban intanto deve guardarsi dalla opposizione del sindaco di Budapest, Gergely Karacsony, che lo ha sfidato annunciando l'intenzione di guidare un'alleanza delle opposizioni per sconfiggere il premier sovranista alle elezioni del prossimo anno: «Alla fine di una lunga riflessione ho deciso che mi presenterò alle primarie dell'opposizione come candidato premier» ha detto il 45enne.
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