Un’azione da kamikaze in via delle Linfe: «Una causa persa, non esiste giustizia»

Antonio Castriotta l’aveva scritto su uno degli atti del procedimento il 4 settembre. Non sopportava l’idea di dover attendere anni per ottenere il risarcimento economico
«Non esiste giustizia. È una causa persa». Questa frase, amara e disincantata, è stata scritta da Antonio Castriotta - l’uomo saltato in aria in un garage di via delle Linfe - appena pochi giorni prima di morire. Il 4 settembre scorso, per la precisione. Una data che, forse, ha segnato la vita del sessantenne. Un punto di rottura, il momento in cui la speranza di poter vincere la battaglia contro il cemento che assediava la sua casetta, ha lasciato il posto alla disperazione più nera. Quella disperazione che l’ha spinto ad orchestrare un estremo tentativo di vendetta, firmando così la sua condanna a morte.


La frase era stata tracciata a penna come nota a margine in uno degli atti relativi alla causa civile intentata un anno fa contro la «Nuova Edile srl», ditta che stava costruendo un palazzo di sette piani accanto alla casetta in cui Castriotta viveva con la moglie Lucia. L’intero incartamento - ora sotto sequestro - è stato recuperato poche ore dopo l’esplosione dagli uomini della Mobile e dal pm Baldovin all’interno del garage di proprietà dei due coniugi pugliesi: Castriotta l’aveva diligentemente sistemato dentro a una sacca colorata. La stessa che, di solito, usava per andare al mare assieme alla moglie. Non a caso l’altra mattina, vedendolo armeggiare con quella borsa, la donna aveva lì per lì pensato ai preparativi per una gita a Barcola. «Antonio andiamo al bagno?», gli aveva chiesto, prima di vederlo sparire per sempre nel box del vicino palazzo in costruzione. «Non oggi - era stata la risposta frettolosa -. Oggi ho altro da fare».


Da giorni, forse proprio da quel 4 settembre, in effetti nella mente di Castriotta non c’era più spazio per le gite al mare. Il suo unico pensiero era quel mostro di sette piani che cresceva vicino alle finestre di casa. Un mostro da fermare a tutti i costi, anche a rischio di perdere il sonno per architettare un modo infallibile per riuscirci. Il risultato di tanta applicazione è stato un piano quasi perfetto. Castriotta ha fatto rifornimento di gas prima di entrare in azione (lo scontrino e la ricevuta del deposito cauzionale sono stati ritrovati nel portafoglio lasciato in casa, ndr), si è intrufolato nel garage dell’edificio vicino approfittando dell’assenza degli operai appena andati a pranzo, e ha sistemato le quattro bombole trasportate fin lì in auto non in un angolo qualsiasi, bensì in uno spazio preciso: proprio sotto le fondamenta del ”mostro”.


A questo punto però, almeno apparentemente, si interrompe la lista dei particolari studiati alla perfezione. Perché, da quelle bombole lasciate con le valvole aperte, Castriotta non si è allontanato per tempo e ha finito per saltare in aria assieme a loro. Un errore di calcolo o forse - ed è su questa seconda ipotesi che si stanno concentrando al momento gli inquirenti - una mossa voluta. La morte del sessantenne - che aveva alle spalle un’esperienza da capocantiere e la tendenza ad affrontare ogni impegno con metodo e precisione -, potrebbe non essere stata un tragico effetto collaterale, bensì un suicidio voluto e meditato. La scelta estrema di Davide, ormai consapevole di non aver più strumenti per vincere contro Golia. E pensare che, sul piano legale, una vittoria, se pur parziale, Castriotta l’aveva ottenuta. In primo grado, nell’autunno scorso, il giudice monocratico Paolo Sceusa aveva accolto le ragioni del sessantenne, deciso a dimostrare come la presenza del cantiere mettesse a rischio la stabilità della sua casetta. Al punto che, con un provvedimento d’urgenza, aveva bloccato per un paio di settimane gli scavi, fissando per la Nuova Edile l’obbligo di eseguire interventi di consolidamento e adottare misure che scongiurassero il rischio di inflitrazioni d’acqua. Quelle indicazioni erano state poi confermate in secondo grado dal Tribunale civile, allora presieduto da Arrigo De Pauli, che, con l’ordinanza emessa il 16 marzo 2009 respingeva il reclamo presentato dalla ditta di costruzioni di Dino Paoletic (ieri irrintracciabile nonostante i molti tentativi ndr), e riconosceva l’esistenza del rischio di rilassamento del terreno dal lato di strada di Guardiella e il pericolo di fessurazioni. Al punto da ribadire per l’impresa l’obbligo di eseguire le necessarie opere di contenimento.


Un risultato ritenuto però inadeguato e insufficiente da Castriotta, rimasto amareggiato in particolare dalla decisione del Tribunale di dividere in parti uguali tra i due contendenti le spese legali. Di lì la scelta di proseguire la lotta per ottenere un risarcimento economico dei danni subiti.


«Proprio martedì scorso era venuto nel nostro studio per definire la seconda fase dell’iniziativa legale - spiega l’avvocato Augusto Truzzi, uno dei difensori che l’hanno assistito negli ultimi mesi, ancora profondamente scosso dalla morte dell’ex fattorino -. Gli avevo prospettato la possibilità di andare in causa nel caso in cui il tentativo di conciliazione con il consulente tecnico del Tribunale non avesse dato i frutti sperati. L’ipotesi di dover attendere due o tre anni per ottenere ciò a cui riteneva di avere diritto, però, l’ha amareggiato moltissimo. Si sentiva una vittima a cui veniva negata la possibilità di ottenere giustizia. In questo senso aveva preso male la decisione del Tribunale di compensare le spese: la viveva come un’ulteriore presa in giro. Antonio Castriotta era una persona davvero disperata - conclude Truzzi -. Tant’è che quando ho appreso la notizia dell’esplosione, il mio primo pensiero è stato il suicidio».
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