Un’agonia di 40’, i tre agenti non si sono accorti
I nomi sono quelli dei poliziotti Thomas Battorti, 37 anni, assistente capo; Roberto Savron, 42 anni, assistente capo, e Ivan Tikulin, 40 anni, agente scelto.
La data è quella del 16 aprile 2012. Le immagini della telecamera a circuito chiuso installate nella stanza di “detenzione” del Commissariato di Opicina hanno testimoniato l’estremo gesto di Alina Bonar Diachuk, la donna ucraina detenuta arbitrariamente in una stanza chiusa a chiave all’interno della caserma. Tikulin era incaricato della vigilanza delle sale di controllo, gli altri due specificatamente della sorveglianza di Alina Bonard Diachuk. Nella stessa inchiesta sono coinvolti con l’accusa di concorso in sequestro di persona Carlo Baffi, l’allora funzionario responsabile dell’Ufficio immigrazione della Questura e anche altri poliziotti tra cui il vice Vincenzo Panasiti. Quella di Alina Bonar Diachuk è stata un’agonia durata oltre 40 minuti. È una cronaca agghiacciante. La si vede mentre disperata si scaglia contro il muro e poi mentre batte la testa. E poi mentre estrae un cordino dalla felpa e lo annoda attorno al collo e quindi a un termosifone. La si vede poi seduta mentre chiude con la vita. Queste immagini quel giorno, quando sarebbe stato necessario oltre che doveroso per il pm, non sono state viste attraverso il monitor dall’agente in servizio di piantone che, per regola, avrebbe dovuto essere lì davanti al monitor. L’agente in servizio, per il regolamento, avrebbe dovuto verificare costantemente quello che accadeva all’interno della stanza dove era stata detenuta l’ucraina. Invece, forse perche impegnato in altri compiti di ricevimento del pubblico in Commissariato, non ha mai dato uno sguardo al monitor e non è mai entrato nella camera della morte, come rileva il pm Massimo De Bortoli nel provvedimento di chiusura delle indagini. Insomma non se n’è accorto perché probabilmente era impegnato in altre occupazioni relative al proprio ufficio. Poi un altro poliziotto quel giorno invece era uscito dalla caserma lasciando il collega. E così anche il terzo poliziotto in forza alla Ferroviaria ma “prestato”, per ragioni di organico al commissariato.
Alina Bonar Diachuk è stata lasciata nella cella a morire. Nessuno insomma si è accorto, nessuno è intervenuto se non quando è scattato l’allarme. Solo dopo i tre poliziotti, assieme ai colleghi dell’Ufficio immigrazione che erano arrivati per prelevare la “detenuta” hanno tentato di rianimare la giovane donna ucraina. Ma non c’è stato nulla da fare. L’accusa che il pm De Bortoli ha formulato a carico di Battorti, Savron e Tikulin in vista della trasmissione degli atti al gip, è quella di violata consegna e di conseguente morte per questa mancanza. Ma per Savron il pm De Bortoli ha anche ipotizzato l’accusa di detenzione, senza autorizzazione, di cinque cartucce calibro 9 che aveva oltre quelle prescritte per la pistola d’ordinanza. Proiettili che gli sono stati trovati nella disponibilità durante la perquisizione successiva al fatto. I tre poliziotti sono assistiti dagli avvocati Francesco Murgia di Treviso, Giorgio Carta di Roma e Gianfranco Grisonich di Trieste. (c.b.)
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