Una vicenda giudiziaria lunga 22 anni
Turtto cominciò al Park di Nova Gorica
Quando venne arrestato, al casinò di Nova Gorica con l’accusa di spaccio di dollari falsi, la Slovenia faceva parte della Jugoslavia. Oggi, ventidue anni dopo, Luciano Bressan chiede ancora giustizia. E oggi parte dalla sua Terzo d’Aquileia per Strasburgo: vuole essere ricevuto alla Corte europea per i diritti dell’uomo e a sostegno della propria richiesta è pronto a iniziare lo sciopero della fame.
Il 15 dicembre 1990 Luciano Bressan non aveva ancora 50 anni ed era un promotore finanziario. Come tanti, aveva la passione del gioco ed era cliente dei casinò Hit. Quel giorno, di pomeriggio, cambiò per conto di un calabrese residente a Cervignano, Giuseppe Furchì (il quale non poteva entrare nei casinò Hit), 110 banconote da 100 dollari (dichiarate poi false): il cambio all’interno della sala da gioco era infatti favorevole. Tornò in Italia, riconsegnò la valigetta con i soldi cambiati a Furchì e tranquillamente tornò a Nova Gorica a giocare. Qualche ora dopo, alle 3.30, l’arresto. Quindi, la detenzione: fino al 18 ottobre 1991.
Intanto, iniziava un lungo iter processuale. Anzi, un doppio iter processuale. Perché anche in Italia venne aperto un fascicolo a suo nome, per il medesimo reato. E in Italia, dopo una prima condanna a due anni di reclusione in primo grado, poi ridotti a uno in appello, aveva visto la Cassazione rinviare alla Corte d’appello il procedimento, ricevendo così nel 2004 la soddisfazione di essere finalmente assolto. In Slovenia invece il calvario è durato ancora più a lungo, ma la prima condanna a 15 mesi di reclusione non è mai stata rivista mentre Bressan denunciava con ogni mezzo tutte quelle che riteneva palesi irregolarità nella ricerca delle prove (a iniziare dal quaderno dove erano registrati i numeri di serie delle banconote cambiate prima “scomparso” a Belgrado - era ancora Jugoslavia - e poi “riapparso” con una lunga serie di incongruenze), sia nella conduzione del processo (dalla mancata traduzione degli atti in italiano all’utilizzo come interprete d’aula di un dipendente dello stesso casinò). Ma soprattutto Bressan ha sempre contestato il fatto di essere stato processato due volte per il medesimo reato, il che è contrario al principio del “ne bis in idem”. Alla fine, dopo la decisione di Lubiana di dire no alla riapertura del processo alla luce dell’assoluzione in Italia, Bressan si è infine rivolto, due anni fa, alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Ma il 20 settembre scorso Strasburgo ha rigettato il suo ricorso, motivando l’atto con la “mancanza di condizioni di ricevibilità”. Non solo: nella lettera inviata a Bressan è anche specificato che non può essere fatto ricorso e che la cancelleria della Corte “non sarà in grado di fornire altre precisazioni sulle deliberazioni” e nemmeno “di rispondere a eventuali lettere”. Insomma, “lei non riceverà - era scritto nella comunicazione - ulteriori documenti” e il fascicolo stesso “sarà distrutto entro un anno dalla decisione”.
Bressan però ancora non si arrende. Vuole capire, vuole sapere. E va a Strasburgo pronto a fare lo sciopero della fame pur di raggiungere il suo intento: “Voglio riprendermi la vita che mi hanno derubato 22 anni fa”.
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