Una schiera di dighe minaccia i Balcani

Dalla Serbia parte la campagna ambientalista contro le 570 centrali che rischiano di colpire a morte il cuore blu d’Europa
Di Stefano Giantin

BELGRADO. I Balcani sono prossimi a sperimentare un pericolosissimo tsunami, in arrivo non dal mare, ma dai fiumi che scorrono attraverso la regione. Uno «tsunami di piccole e grandi dighe», pianificate in gran parte da finanziatori e imprese straniere interessate a sfruttare la forza delle acque per produrre energia elettrica “verde” e a basso costo da esportare verso l’Europa occidentale. Il tutto, spesso con il sostegno dell’Ue, con i soldi della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers).

Parola degli esperti e degli ambientalisti dell’ong tedesca EuroNatur, di quella austriaca RiverWatch e dei loro colleghi macedoni e croati, riunitisi ieri a Belgrado per lanciare la campagna di sensibilizzazione “Save the blue heart of Europe” (http://balkanrivers.net), salvate il cuore blu dell’Europa. Un cuore, allarme ripetuto con forza ieri nella capitale serba, «che batte nel centro dei Balcani» e che rischia grosso, ha denunciato il numero uno di EuroNatur, Gabriel Schwaderer. E non è esagerato parlare di cuore blu, quando si pensa ai 35mila chilometri di fiumi della penisola balcanica, studiati nel dettaglio da EuroNatur e RiverWatch.

Il risultato delle ricerche, una mappa precisa dei corsi d’acqua dalla Slovenia all’Albania, dove i fiumi di «classe 1, con status naturale», ossia del tutto incontaminati e non regolati dall’uomo, sono addirittura il 30% del totale, quelli di classe 2 e 3, solo leggermente governati, il 50%. Fiumi che però «sono sotto attacco» assieme alle centinaia di specie protette che vi abitano, dal salmone del Danubio ai molluschi autoctoni fino alle altre decine di specie endemiche di pesci, il 70-75% dei quali rischia l’estinzione se le dighe saranno erette, hanno ammonito gli ecologisti a Belgrado. Sotto attacco per colpa di «570 centrali idroelettriche» di piccole e medie dimensioni che potrebbero essere costruite sui corsi d’acqua, dalla Sava al Danubio, dalla Drina all’Ibar fino alla Vjosa in Albania, nel corso dei prossimi anni. Tutti fiumi preziosissimi, come la «Sava, aggredita su due fronti», con una sessantina di nuove dighe progettate sul fiume e affluenti, oltre che dai «piani per incrementare il trasporto fluviale», ha avvisato ieri l’ecologista croato Tibor Mikuska.

E non si dimentichino «l’Ibar e la Drina», altri gioielli naturali, oggi nel mirino di decine di piccole mini centrali idroelettriche, specifica al Piccolo Ulrich Eichelmann, direttore generale di RiverWatch. «Mini centrali che fanno male ai piccoli fiumi come le grandi fanno male a quelli maggiori, non ci sono differenze», aggiunge l’esperto. Progetti, aggiunge Eichelmann, dietro cui ci sono soprattutto, oltre a imprese locali, «un sacco di aziende di Paesi stranieri», con in testa «finanziatori come la Banca mondiale e la Bers». Assieme a Deutsche Bank, «gli italiani del gruppo Becchetti per esempio sono coinvolti» nel programma che riguarda la costruzione di una centrale sul «fiume Vjosa, in Albania», descritto in precedenza da Eichelmann come uno degli «ultimi fiumi d’Europa rimasto perfettamente intatto, con canyon, acque che scorrono rapide, isole fluviali», 270 km «dalle sorgenti al delta».

«Aziende e soldi, tantissimi soldi che arrivano da fuori», spiega l’esperto, che richiamano una sorta di approccio neocoloniale verso i Balcani. Ma «sono ottimista», conclude poi. Ottimista perché la crisi, con relativa diminuzione dei fondi disponibili, e l’aumento della produzione di energia pulita da fonti rinnovabili in altri parti del continente hanno ridotto sensibilmente i prezzi dell’energia in Europa, rallentando i nuovi progetti, dighe e mini centrali incluse. E così c’è ancora un po’ di tempo, per fortuna, per salvare il cuore blu d’Europa.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo