Una notte tra i bivacchi dei senzatetto di Gorizia

Dopo aver cenato alla Madonnina si dividono: un gruppo va a dormire all’Expomego, gli altri in via Buonarroti e allo skateboard-park
Profughi coricati nella zona dell'Expomego (Marega)
Profughi coricati nella zona dell'Expomego (Marega)

GORIZIA «Per favore usate parole forti per descrivere quello che vedete. Magari qualcosa cambia». Mentre ad ogni livello, la politica discute sul futuro dei migranti - e lo fa senza trovare soluzioni -, la maggior parte dei richiedenti asilo arrivati a Gorizia resta senza un tetto sotto cui dormire e, per quanto un pakistano chieda parole forti capaci di smuovere le coscienze, descrivere adeguatamente la realtà in cui vivono queste persone è letteralmente impossibile. Raccontare può servire a dare un’idea di ciò che sta accadendo da oltre un anno in città o ad accendere il dibattito tra una destra e una sinistra che solo su una cosa sono d’accordo: sul fatto che la situazione, così com’è, non è accettabile per nessuno. Per capire si può fare solo una cosa: andare a vedere di persona dove e come dormono i profughi.

Dopo la cena preparata alle 19.30 dai volontari della Caritas alla parrocchia di Madonnina, i migranti fuori convenzione si sparpagliano tra l’ingresso del quartiere fieristico, le rive dell’Isonzo, lo skate-park e il porticato del condominio di via Buonarroti. La presenza di un mediatore culturale da loro conosciuto serve ad evitare che si chiudano prendendo posizioni difensive inespugnabili. L’appuntamento è alle 20.30 di fronte all’Expomego. Nel posteggio, la prima immagine è quella di tre ragazzi che si allenano correndo a piedi nudi attorno al piazzale. Più in là, sotto la pensilina dell’ingresso, c’è un tappeto di coperte e una dozzina di fagotti. Alla nostra vista i ragazzi si tirano su. Uno prende una coperta, se la arrotola intorno alle spalle e si offre di accompagnarci sull’Isonzo.

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Con il buio si capisce al volo il motivo per cui chiamano la riva del fiume “the jungle”: di sera la zona è completamente diversa da come si presenta di giorno. Mette i brividi. Il rombo dell’acqua che scorre a poca distanza non è per niente rassicurante. Senza una guida è impossibile orientarsi. Rafik, invece, ci porta a colpo sicuro al primo accampamento. A un certo punto sterza di colpo verso destra lasciandosi alle spalle il sentiero principale. Dopo qualche metro si materializzano un fuoco e una capanna di fortuna. Ci sono nove persone. Qualcuno sta già dormendo. “Benvenuti a casa nostra”, dicono facendo un cenno della mano come per farci entrare in salotto. Il salotto ovviamente non c’è. Tanto il tetto, quanto il pavimento sono dei teli impermeabili. La differenza tra sopra e sotto è solo una: per terra c’è anche uno strato di cartoni. L’Isonzo è a pochissimi passi. Sulla sua superficie si riflettono delle luci. Non è una serata particolarmente fredda, ma l’umidità entra lo stesso nelle ossa.

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«Se il livello dell’acqua sale, abbiamo un piano d’emergenza: saliamo sugli alberi e rimaniamo lì fino a che scende», osserva il leader del gruppo. Parla così seriamente che non si capisce se stia scherzando o meno. È solo la prima di diverse altre capanne. Alcune sono abbandonate perché gli “inquilini” hanno paura e le utilizzano solo durante il giorno. Di notte la giungla fa paura a molti. Non è raro trovarsi in faccia le lumache rosse, ma l’alternativa è dormire sul cemento. Lo skate-park costruito sotto il cavalcavia Ragazzi del ’99 sembra una soluzione migliore, ma solo a prima vista. «Da domani andiamo a dormire nella giungla», assicurano i pakistani lì accampati. «Qui non c’è pace. Succede sempre qualcosa. Una notte ci hanno tirato delle bottiglie di vetro e quando camminiamo per la strada non capiamo perché la gente ci fissa». Tra loro ci sono medici e ingegneri, eppure il loro aspetto non si avvicina minimamente a quello di una persona con un alto livello d’istruzione. Lamentano la scarsa igiene a cui sono costretti: «Non ci sono docce, non possiamo lavarci e così rischiamo di passarci le malattie».

Vorrebbero dei libri per imparare l’italiano e rendersi utili alla società che li ospita. Chiedono anche di non essere fotografati in faccia: «A casa credono che stiamo in un campo. Abbiamo mentito per evitare che si preoccupino». Come tutti, sognano un tetto sotto cui vivere, abiti puliti e lenzuola fresche di bucato. La maggior parte dei richiedenti asilo fuori convenzione è ammassata sotto i portici del condominio Concordia. Sono le 22, pioviggina. Il messaggio in inglese appeso ai muri dai residenti è inequivocabile: lì non devono stare. I migranti però dicono di non avere alternative. Non sanno dove altro andare. Se potessero, eviterebbero volentieri di dormire per terra. Vorrebbero una stanza calda e un letto, ma non dipende da loro. Dipende dalla politica e dalla burocrazia. Una volta ottenuti i documenti assicurano che se ne andranno. Certo, c’è chi vorrebbe rimanere a Gorizia, ma la maggior parte di loro punta alle grandi città: Roma e Milano in testa. È questo il sogno che fanno di notte, in quelle poche ore di sonno che riescono a concedersi.

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