Una foto inedita di Ungaretti in guerra

Scoperto un inedito Ungaretti di guerra. Questa volta, però, non si tratta di una poesia, nemmeno di un nuovo capitolo del romanzo satirico scritto in guerra, quella del 1915-’18, emerso in bozze alcuni anni fa da un cassetto della casa del poeta. Si tratta, invece, di una fotografia, una anonima istantanea tra le decine di milioni di scatti effettuati durante la guerra da fotografi militari e da militari fotoamatori (c’erano anche loro, in gran parte graduati, e hanno lasciato tantissime importanti testimonianze) che ritrae Ungaretti in secondo piano in mezzo ad un gruppo di soldati che stanno distribuendo il rancio sulle pietraie del monte San Michele.
Le fotografie del poeta soldato sono molto poche, si contano sulle dita di una mano. La più famosa lo ritrae alla fine della guerra in Francia, con i gradi di caporale, nelle mansioni di redattore del giornale di trincea “Sempre Avanti”. E proprio questa fotografia mostra una sorprendente somiglianza, quasi una identificazione, con il volto del soldato che spunta in secondo piano nell’immagine scattata sul Carso nell’estate del ’17, quando Ungaretti, dopo le fatiche e gli acciacchi della trincea, provato nel corpo e nella psiche (scrive e si lamenta più volte della sua nevrastenia di guerra) viene dichiarato non utilizzabile in linea e trasferito in una compagnia presidiaria, una sorta di servizio burocratico, un lavoro d’ufficio e di controllo a ridosso del fronte della sua unità.
Nella fotografia, scattata dai servizi fotografici dell’esercito italiano per documentare la vita di retrovia dei soldati sul fronte carsico, destinata probabilmente ai giornali e agli alti ufficiali che così si costruivano i loro “Album di ricordi di guerra”, spunta in secondo piano un inedito, sornione Ungaretti, soldato di ventotto anni con l’elmetto in testa e la giacca della compagnia presidiaria a cui apparteneva. Pur nel bianco e nero, le mostrine si mostrano compatibili con quelle dei reggimenti della Brigata Brescia, l’unità a cui Ungaretti apparteneva. E comunque, il volto è quello del poeta giovane, inconfondibile e beffardo. Un regalo non da poco, a quasi cent’anni da quella guerra.
La fotografia si potrà vedere “in grande” a San Martino del Carso, il paese famoso in Italia e anche all’estero proprio per essere stato immortalato in una poesia del poeta soldato, che tra le sue mura diroccate e nelle trincee sotto il monte San Michele ha vissuto i momenti più duri della “sua” guerra. E molto altro ancora. Il borgo carsico ospiterà infatti, dal 30 marzo al 29 giugno di quest’anno, la mostra internazionale “San Martino del Carso, il poeta e l’albero isolato”. L’evento trasformerà il paese in un luogo d’incontro internazionale, perché “l’albero isolato” è proprio quello che dava il nome all’omonimo Valloncello in cui Ungaretti scrisse alcune delle poesie del “Porto sepolto”, il suo primo libro di liriche di guerra pubblicato a Udine nel dicembre 1916.
L’albero, o meglio il troncone mummificato di quasi quattro metri che ne resta, ritornerà per due mesi alla sua terra d’origine dalla città ungherese di Szeged, dove è conservato in un museo, venerato come reliquia e simbolo del valore e della sofferenza del soldato ungherese. Provenivano infatti da quella città i soldati del 46° reggimento di fanteria dell’esercito asburgico che difendevano San Martino e il vicino monte San Michele dagli attacchi italiani.
La mostra, promossa dal Gruppo speleologico carsico di San Martino con il Comune di Sagrado, la Provincia di Gorizia e varie istituzioni e associazioni italiane, slovene e ungheresi, è curata da Lucio Fabi con la grafica di Alfio Scarpa. Ci saranno inoltre vari eventi culturali, musicali e teatrali, che trasformeranno il borgo carsico in un inedito punto di incontro internazionale. Si potrà anche conoscere meglio il territorio carsico circostante, ieri campo di battaglia, oggi parco naturalistico che riserva non poche sorprese, grazie alle escursioni domenicali che si protrarranno per tutta la durata della mostra.
Giuseppe Ungaretti, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha “impastato” le sue liriche immortali nelle pietre e nella terra rossa del Carso di guerra, combattendo e soffrendo sul monte San Michele e nelle trincee intorno San Martino del Carso. Ciò che il poeta ha visto, vissuto e percepito in trincea, si è poi trasformato in poesia: versi rarefatti, scarnificati, diretti e laceranti, l’essenza dell’essere umano travolto ma non piegato dalla guerra.
Dalla fine del ’15 all’autunno del ’16 il fante Ungaretti Giuseppe del 19° reggimento della brigata Brescia trascorre lunghi periodi nelle trincee di prima e seconda linea tra San Martino e il monte San Michele, tra scenari tragici e innumerevoli pericoli, affrontando assalti, bombardamenti, stenti e malattie. Sopravvive anche grazie alla poesia, elaborando nei momenti di riposo un’esperienza che formerà la sua intera vita futura. Se la guerra è morte, la poesia non può essere che vita, e infatti alla poesia il poeta si aggrappa per superare prove difficilissime, come in Veglia, creata sotto Cima Quattro il 23 dicembre 1915:
«Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita»
Il 28 aprile 1916 il reparto di Ungaretti è attestato alla sommità del monte Cappuccio a quota 197, la quota del Groviglio e dei «budelli», tristi e stretti camminamenti verso le posizioni avversarie, che il poeta descrive così: «Stamani mi sono aggirato per questi budelli; c’è una fila ininterrotta di uomini stesi in lungo addosso a una parete; rasento l’altra per passare; la sola luce delle feritoie; un uomo erra di feritoia in feritoia, il fucile imbracciato, cercando la preda; in certi punti i nemici sono a tre metri; ora riposano; c’è una gran quiete».
Nella notte tra il 14 e il 15 maggio reparti ungheresi tentano di occupare alcune trincee nei pressi della Sella di San Martino e al Groviglio. Vengono respinti dai reparti italiani schierati tra il San Michele e San Martino al prezzo di 851 perdite tra morti, feriti e dispersi. Il 19° reggimento, che da solo ferma l’attacco proveniente da San Martino, perde 172 uomini, molti dei quali deceduti sotto il bombardamento. « All’alba c’è stato un putiferio del diavolo. Notte 14 sul 15, inferno! – Ce la siamo cavata bene», scrive laconico Ungaretti, confermando la sua partecipazione all’azione e l’orgoglio del soldato che ha fatto il proprio dovere.
Nei momenti di lontananza dal fronte, Ungaretti rivisita le esperienze vissute in forma di poesia. Dall’incontro fortuito con il tenente Ettore Serra prende forma “Il Porto Sepolto”, raccolta di liriche di guerra stampata a Udine in 80 copie nel dicembre 1916.
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